I «Dialoghi» di Platone non sono soltanto dei testi fondamentali per il pensiero occidentale, ma anche degli esempi di alta drammaturgia, scritti in un linguaggio così vivido da risultare spontaneamente teatrale. Su questa premessa Giulio Bosetti ha impostato «Dialoghi con Socrate», lo spettacolo in scena sino a domenica al Carcano con la regia di Giuseppe Emiliani. Bosetti è da sempre assertore di un teatro fondato sulla nuda parola, su di una recitazione che punta tutto sull'espressività dell'attore e che fa quindi a meno di «stravaganze visive», secondo una sua riuscita definizione, cioè di inutili orpelli scenici che ammiccano al linguaggio televisivo. La parola è in grado di evocare da sola un vasto universo iconico, come proprio i «Dialoghi» platonici mettono in luce: «in figurazioni perfette per cadenza letteraria», afferma il direttore artistico del Carcano, «Platone riproduce gli intercalari, le battute, le pause di sorpresa, le accelerazioni, i momenti sospesi del dubbio, i magici silenzi... Come un moderno drammaturgo insomma, Platone scrive per immagini».
La modernità di questo pensatore non è solo una questione di linguaggio: anche le tematiche, il modo di formulare gli interrogativi, l'inquietudine e le soluzioni per farvi fronte sono inaspettatamente attuali. «Andare alle fonti del sapere», «porsi le eterne domande sul senso della realtà», come fanno i protagonisti dei «Dialoghi», è il modo più efficace per affrontare quel disorientamento generale, quel senso collettivo di inutilità che anche a Milano sta facendo moltiplicare le conferenze tenute da filosofi.
Il Socrate impersonato da Bosetti non è però un conferenziere, ma un uomo che vuole condurre la sua esistenza in modo coerente con il suo pensiero, e che quindi vive sulla propria pelle le conseguenze delle sue scelte. Sul palcoscenico lo vediamo prima mentre parla in solitaria al pubblico come fosse un'odierna agorà, poi circondato da due e in seguito tre discepoli (interpretati da Alberto Mancioppi, Francesco Migliaccio e Giuseppe Scordio), in un crescendo di intensità recitativa che culmina con la sua morte. Socrate beve la cicuta con la consapevolezza che l'anima è immortale e che l'accettazione della morte rappresenta una paradossale attestazione di fiducia nei confronti della vita.
Prima di lasciare i suoi discepoli, risponde alle loro domande dando prova di un'analoga fiducia anche nei confronti della parola e della sua capacità di esprimere il significato profondo delle cose. Con questo stesso atteggiamento Bosetti ha scelto di mettere in scena i «Dialoghi».
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