«Cari greci, scioperare non serve a niente Io direi sì ai sacrifici»

RomaSe fosse stato un sindacalista greco, Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, non avrebbe avuto dubbi: avrebbe accettato i sacrifici. Anche perché l’unica alternativa resta il fallimento dello Stato. Poi, però, avrebbe chiesto in cambio un impegno per una politica di investimenti europei. I sindacati italiani, ricorda Angeletti, negli anni Novanta i sacrifici li accettarono. Quelli greci, sembrano avere scelto l’opposizione dura, un po’ perché, effettivamente, i sacrifici chiesti ai cittadini greci sono notevoli. Ma è anche vero che in quel Paese, da qualche anno, le opposizioni sociali hanno subìto una deriva «ideologica».
Quando toccò all’Italia riallinearsi con i Paesi più virtuosi, voi sindacati vi sedeste a un tavolo e accettaste i sacrifici.
«E che sacrifici! È bene ricordarlo a chi non fa più questi conti: 100 miliardi di risparmi solo dalla riforma previdenziale».
E se fosse stato un sindacalista greco, che cosa farebbe oggi di fronte all’accordo con Ue e Fmi?
«Chiederei al governo di fare tutti i sacrifici necessari. Magari qualcuno in meno da decidere con una trattativa. Poi chiederei una politica in sostegno degli investimenti, che non può che essere europea e passare per gli eurobond».
C’è un problema di tempi stretti.
«È evidente che c’è un problema di liquidità che può causare danni enormi. Per questo dico che avrei detto sì ai sacrifici, pretendendo poi un tavolo per fare ripartire l’economia».
Se non l’hanno fatto fino a oggi, quale crede sia il motivo?
«Una differenza tra le due situazioni, tra l’Italia degli anni Novanta e la Grecia di oggi, c’è e non è da poco. Oltre i sacrifici, che furono enormi, noi vedevamo chiaramente una prospettiva di crescita e poi effettivamente riuscimmo nel miracolo di svalutare la lira, senza provocare inflazione. Non ci furono effetti recessivi e recuperammo competitività».
Ora non si può svalutare, nemmeno in Grecia.
«Questo, infatti, deve essere chiaro a tutti, sindacati compresi. Con la moneta unica la mancanza di competitività si paga in un modo solo: perdendo posti di lavoro».
Secondo lei questa è la preoccupazione dei sindacati greci?
«Come sindacati internazionali, più che protestare per i tagli, abbiamo in realtà sottolineato i rischi di una recessione greca, che renderebbe vani tutti i sacrifici. Il patto di stabilità ha una logica un po’ tedesca. C’è il freno, ma non c’è l’acceleratore. E questo non fa bene a niente, nemmeno al risanamento dei conti».
Auspicare una politica di investimenti non le sembra fuori dalla portata del governo di Atene?
«Infatti io penso, e siamo ancora in tempo, che se vogliamo salvare Eurolandia serva una politica europea da realizzare attraverso degli eurobond, obbligazioni europee garantite dalle riserve auree delle Banche centrali. Risorse da usare per investimenti. Investimenti veri, non stipendi distribuiti dai governi per vincere le elezioni».
E gli scioperi greci servono a questo?
«Per un verso sono inevitabili, ma non servono. Anche perché, chiedo io, se il governo greco non avesse fatto l’accordo o, peggio, non fosse in grado di onorarlo, che cosa succederebbe?».
Il default?
«Lo ha detto lei...».
Perché non la sorprendono gli scioperi?
«Perché i sacrifici ci sono, ma non si può non vedere come in questi anni in Grecia sia cresciuta un’opposizione sociale molto ideologica».
E anche violenta. Ci sono stati tre morti.
«È da un po’ che in Grecia nelle manifestazioni si inseriscono gruppi di violenti. Non sono sindacalisti, ma visto il clima trovano molte sponde. Quando nei cortei compaiono i cappucci neri non c’è niente di buono».
Non è strano che tutto questo accada con un governo socialista in carica?
«Una delle più grandi crisi del capitalismo, la pagheranno i partiti socialisti».
Un bel paradosso...
«Io non credo né ai paradossi né ai casi.

La cultura socialista è rimasta ferma al Ventesimo secolo. Non si è mai posta il problema che la ricchezza va prima prodotta e poi redistribuita. E siccome la gente poi non è stupida, va a votare e non li conferma. Glielo dice un socialista».

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