Davide chiede al padre di lasciare l'amante e di «tornare» in famiglia. Da dove sembra non sia mai partito, peraltro, preferendo dirigere due situazioni parallele. La sorella lo sostiene, dichiarandosi orgogliosa del fratello. Silenzio del padre e silenzio della madre. Però, i lettori si indignano con me e stanno dalla parte di Davide. Premesso che anchio «sto dalla parte di Davide», nel senso che condivido il suo dolore per la famiglia disunita e per il purgatorio in cui lo fanno vivere i suoi genitori, riassumo i motivi di contrasto dei lettori (in maggioranza uomini) con la mia tesi. Che, ricordo, è la seguente: il tradimento coniugale è una slealtà le cui conseguenze devono essere decise dai coniugi in tempi brevi, proprio per non coinvolgere i figli. O ci si passa sopra con l'impegno che non si ripeta, o ci si lascia. Il terzo incomodo è un complice, ma non può essere demonizzato al posto del traditore. Lamante parallelo alla vita familiare squalifica il traditore, umilia il tradito, devasta la psiche dei figli consapevoli. L'unico rimedio sano, in questi casi, è la separazione, che può rimettere in gioco la vita e i sentimenti di tutti, nel segno del cambiamento positivo, perché espressione di verità.
Apriti cielo: molti lettori mi hanno accusata di parlare così per interesse professionale; tutti sono convinti che i figli debbano prendere posizione per riprendere il fedifrago; una signora maledice il divorzio come istituzione voluta dalla sinistra e, in alternativa, vorrebbe lo Stato presente in casa per guidare i coniugi confusi; un altro lamenta che non ci siano la voce del padre e della madre a dire la loro; un'altra signora invita al dialogo più aperto in famiglia per evitare i divorzi; un altro, definendo «raccapricciante» il mio pezzo e «splendida» la lettera di Davide, critica quella che, secondo lui, è la mia difesa del diritto all'egoismo dei genitori; un altro ancora, dichiarandosi portatore di una scintilla, si augura che il padre scopra la sua scintilla e torni da Davide ascoltando il suo grido di dolore; un altro infine giudica il mio pensiero come un armeggiare il mio bagaglio professionale e lo bolla di relativismo etico, mentre loda Davide per il suo intervento e si augura che il suo desiderio venga soddisfatto con il ritorno del padre.
Ribadisco che la sofferenza di Davide è ingiusta, come è ingiusto aver creato un'atmosfera familiare così brutta e dolorante tanto da spingere un figlio a invocare la soluzione che, a lui, sembra la più facile: chiedere al padre di interrompere il comodo, per il padre, doppio gioco. A favore della moglie e licenziando l'amante. È a tutti evidente che in questa storia, come in migliaia simili, sono tutti i protagonisti perdenti e infelici: i figli che vivono in una famiglia anagrafica priva di sentimenti vitali; la moglie che subisce inganni e ferite ogni secondo della sua vita e che è convinta di dover sopportare per amore dei figli; il marito che soffre della sua incapacità di stare correttamente da una parte o dall'altra; l'amante che si accontenta di briciole avvelenate dopo essersi seduta a una tavola, da inaspettata ospite.
Questo florilegio di sacrifici, che perdura da tre anni, può mai produrre qualcosa di positivo nella vita di queste persone? E qualora mai il padre, decidesse di tornare da quella povera madre, lei ne sarebbe davvero felice? Forse i figli sarebbero contenti di aver eliminato l'altra, ma alla loro madre che cosa riserverebbe il futuro? La sua dignità, massacrata da anni di sopportazione del dolore più crudele che può subire una moglie, potrebbe anche avere dei sussulti di rigetto verso il fedifrago. Oppure, se veramente santa, potrebbe persino perdonare e porgere l'altra guancia. O anche potrebbe persino tenerselo, facendogliela pagare per sempre.
In ogni caso i sentimenti di questa coppia sarebbero deteriorati dai ricordi, dalla vergogna, dalla paura. In fondo fino a oggi quest'uomo ha trattato la madre dei suoi figli come una baby sitter di lusso, una governante, una maschera di moglie. Come potrebbe ripagarla, tornando da lei? Questa signora, più di ogni altro nella storia che ci è stata raccontata, avrebbe diritto a riprendersi la sua vita, i pensieri, i sogni per esplorare altre possibilità di amore. Più rispettose e appaganti di quelle che i figli sperano per lei. E meno tiranniche e avvilenti di quelle che le riserva il marito.
Il divorzio, che non è stato voluto dalla sinistra, ma da una matrice liberale del nostro paese, è davvero un rimedio all'infelicità. Nessuno, tantomeno questa sfortunata signora, succuba di un pericoloso buonismo, ha il dovere di sopportare il dolore creato da un altro e che dilaga giorno per giorno nella sua esistenza. Se si decide, invece, di scegliere il martirio sacrificale, si ha il dovere di non coinvolgere i figli. Che, a loro volta, hanno il dovere di rispettare, per quanto è possibile, le scelte dei genitori. Sbagliate o giuste che siano. Un conto sono i coniugi, che possono, se vogliono, divorziare; un conto i genitori che, come tali, restano sempre in coppia, anche se in case separate. E i figli hanno diritto alla bigenitorialità. Per legge.
Auguri, cara signora mamma di Davide: che il Natale le porti in dono la generosità dei suoi familiari e dei nostri lettori.
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