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La carica dei 300mila alpini: "Siamo il volto fiero dell’Italia"

A Latina il corteo delle Penne Nere è durato dieci ore. Un’intera città in delirio per i suoi eroi: "Un esempio per le nuove generazioni"

La carica dei 300mila alpini:  
"Siamo il volto fiero dell’Italia"

Latina - Il reduce della guerra di Abissinia si alza in uno scatto di incertezza e il palco di ferro vibra con lui. L'applauso travolge le transenne e fa ondeggiare la tribuna come uno scroscio di fanfare. «Bravo! Bravo all'alpino!». Il reduce lascia la carrozzina con le gambe secche come stecchi. Tira baci con la mano smilza come una foglia. Ha novantasei anni, Cristiano Dal Pozzo. Il cuore è coperto di medaglie d'oro, ma oggi ha una città che lo festeggia.

I numeri sono da leggenda: 300mila alpini da tutta Italia, tre volte il numero degli abitanti, sono arrivati a Latina per l'ottantaduesima adunata e per incontrare nipoti e bisnipoti. Siamo al centro dell'Italia, ma qui Mussolini portò ventimila veneti e friulani negli Anni venti per bonificare le paludi e adesso i discendenti sono almeno quarantamila. Per questi figli della bonifica, la terra d'origine oggi piange nostalgia nelle note di fiori dei cori alpini: «Viva la Julia! Viva la Carnia!», gridano i pontini di sangue veneto, e si sbracciano, si arrampicano sui semafori, schiamazzano dalle finestre: «E viva gli alpini!».

L'adunata ha sconvolto la città. Tende e camper sono stati piazzati dappertutto. Gli alpini dormono anche alla stazione, nei vagoni letto. Per loro è un incontro indimenticabile: i ragazzi del nord per la prima volta conoscono la porchetta vera. Un gruppo di penne nere si è messo a far pulizia: «Abbiano riassettato tutto l'albergo!», informano gli alpini di Udine, camicia a scacchi e fanfara sulla schiena. L'amministrazione ha dovuto convocare gli autisti dalla Capitale. Ogni viaggio è un'avventura: «Allora scendemo chi?» domandano gli alpini di Belluno. «Si scennete!» grida l'autista romano stravolto. Poi tra sé: «Questi vonno piazza de Mercanti, ma ’ndo sta?». «Quella lì va ben!». Non si prendono in giro, discorrono come se s'intendessero al volo. Qui a Latina in questi giorni si parla la stessa lingua. Non si erano mai visti tanti tricolori alle finestre dai mondiali dell'82.

L'associazione alpina e il Comune hanno indetto un concorso per il balcone più patriottico. Sul palazzo littorio di piazza del Popolo uno striscione dice: «Dai ghiacciai alle paludi con tenacia a difesa del dovere». È proprio questa la lingua comune: il legame tra le Alpi e la melma pontina. Le radici della montagna che scendono nelle strade bruciate dal sole. L'idea è stata del presidente della sezione alpini di Latina, Nicola Corradetti. Era sicuro che il sangue della stessa terra, l'unione dei ghiacci e della palude, avrebbe convinto tutti. L'Agro pontino ha battuto Bolzano. «Da quando gli alpini andranno via non sarà più la stessa cosa», è sicura Valentina, che vende le magliette «Che Dio ce la mandi bona», «Chi non bussa non gussa» (chi non beve non gode).

Ci sono gli alpini dell'Afghanistan, uno striscione è per «l'Alpino don Gnocchi beato». In più di ottantamila hanno sfilato accompagnati da uno speaker che li annunciava con preamboli da radioromanzo: ecco gli alpini di Gorizia «con quell'aria di bosco tipica della gente di montagna... », gli alpini siciliani, «uomini dell'Etna». I figli degli emigranti sono d'accordo: «è un giorno bellissimo» per Gabriella Stoppa, genitori di Rovigo, e Peppino Agnolon, barista, di Pordenone. «Speriamo che ai giovani rimanga il valore della fratellanza», sospirano due alpini reduci di Russia, Carlo Vigentini, 92 anni e Nelson Cenci, 90. In Italia le penne nere sembrano non scomparire: gli arruolamenti volontari, spiega il tenente colonnello Alessandro Cottone, «coprono tutti i bandi che pubblichiamo».

L'Italia «è tutta unita, è tutta degli alpini!», annuncia lo speaker con la penna. Ma la voce gli si spegne in gola. Arriva «il glorioso battaglione Aquila». Ventun minuti di applausi e piangono tutti: i vecchi alpini che sfilano con il grugno d'orgoglio dell'Abruzzo, quelli che stanno sul palco: «Stemo tutti a frigna’!».

Piangono per la loro terra che non hanno mai visto e per quell'altra distrutta dal terremoto, questi pontini con i piedi sulla palude e il cuore nelle Alpi.

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