Claudio De Carli
Ha detto Billy che pensava di aver chiuso con la semifinale triste di
Barcellona in Champions. Invece sarà al centro della difesa davanti ai 96
chili e ai 2,02 metri di Nikola Zigic, serbo e centravanti della Stella
Rossa, mercoledì sera a San Siro nel preliminare di Champions. Billy è
Costacurta, all’anagrafe Alessandro, quarant’anni compiuti il 24 aprile, 453 presenze in serie A, esordio a Verona nel giorno giusto, 0-1 gol di Virdis. Billy è uno che quando sta bene sa riderci sopra con un’ironia specialissima: «Più che stupire tutti con la mia longevità, devo ringraziare i miei compagni della difesa: loro fanno sempre di tutto per darmi la possibilità di aumentare le mie presenze». Faccia da non prendere mai sul serio, dicevano che senza Baresi sarebbe morto il giorno stesso, invece proprio a Usa ’94 è il migliore fra gli azzurri che arrivano alla finale di Pasadena con il capitano del Milan fuori per infortunio. La gente a volte quando lo vede, si chiede perché non si metta a fare quello che vuole senza star lì a dar retta: praticamente perfetto anche sotto l’acquazzone di Lecco, neppure un capello in giro. Adesso fra due giorni fa la 114ª partita in Europa contro un ragazzo che ha 16 anni meno di lui e il resto della difesa da decidere. Poi c’è Gianluca Pagliuca, quarant’anni fra quattro mesi. Lo davano già finito sette anni fa quando lasciò l’Inter, adesso ha firmato con l’Ascoli il suo 19° campionato in serie A. Bel carattere, una sigaretta dopo pranzo, l’innesco dello schema vincente di Gigi Simoni: Pagliuca-Ronaldo. Ha giocato uno spareggio salvezza contro il Parma e l’ha perso con il Bologna. Adesso abbandona, dicevano, invece si è fatto una stagione in B senza sentirsi declassato, senza parlare di scelte di campo e senza spiegare che aveva un traguardo da raggiungere: il record di presenze in serie A. Gianluca è a 569, davanti c’è Paolo Maldini con 582, una specie di almanacco del calcio di questi ultimi vent’anni non ancora arrivato all’ultima pagina. E in mezzo Dino Zoff, la parabola involontaria degli atomici quarantenni del calcio italiano. Quando la saracinesca si prese quattro gol da trenta metri al mondiale argentino nel 1978, scrissero che era normale: ormai a quell’età, tutti si è un po’ miopi. Aveva 36 anni e probabilmente Brandts, Haan, Nelinho e Dirceu ne erano al corrente, ma quattro anni dopo il monumento diventa campione del Mondo in Spagna con la fascia di capitano al braccio, il vero regista della squadra.
In America dicono che gli attuali quarantenni stiano vivendo un momento di crisi, li chiamano baby boomers, sono quelli nati nei rutilanti anni Sessanta che ora starebbero vivendo un momento di decadenza. Qui da noi, quasi quarantenni come Dario Ballotta, Gimmy Fontana, Eugenio Corini e Oscar Brevi, giocano in serie A e non gliela regala nessuno. È la dura realtà con cui sanno di dover fare i conti: Silvio Piola smise a 41 anni dopo essere rimasto in campo un quarto di secolo. A 34 anni compiuti, la Juventus non credette più in lui e ritenendolo finito lo girò per poche lire al Novara in serie B: tornò subito in A e rimase al centro dell’attacco per altre sette stagioni. Anche se il record dei record è di quell’esagerato di Sir Stanley Matthews. A 32 anni firma con il Blackpool e il manager gli chiede: ce la fai a farmi altri due anni?
Sei stagioni più tardi giocherà una finale di Fa Cup che prenderà il suo nome, a 41 anni farà impazzire un certo Djalma Santos e la regina Elisabetta era maniacalmente preoccupata per il suo Stan.
Claudio De Carli
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