Ma che tipo di crisi è veramente quella che stiamo vivendo sulla nostra pelle? È una crisi di un più vasto scenario economico mondiale, o una crisi essenzialmente finanziaria? Ne parliamo col dottor Alessandro Taddeo, direttore Investimenti Carige AM Sgr.
Direttore, sembrava che la crisi finanziaria del 2008 potesse essere seguita da una fase di ripresa economica, invece così non sembra. Come mai?
«La crisi attuale, al pari di quella del 2008, è una crisi essenzialmente finanziaria, che nasce da un livello di indebitamento eccessivo del settore pubblico così come di quello privato. L'utilizzo indiscriminato della leva del debito per finanziare l'espansione delle attività ha comportato un consistente aumento dell'instabilità economica e della volatilità sui mercati. Il settore finanziario sta subendo le conseguenze di una forte aggressività sul piano dell'innovazione finanziaria, nonché della globalizzazione dei mercati. Le imprese appaiono meno coinvolte, potendo contare sulla domanda proveniente dai Paesi emergenti e delocalizzando la produzione. Subiscono comunque anch'esse la deludente dinamica della domanda interna e la crescita ormai anemica dei Paesi occidentali».
Ora però la crisi riguarda anche gli Stati sovrani
«Qui arriviamo al nocciolo del problema, che non è tanto costituito dalle entità dei debiti pubblici - quello italiano è relativamente costante ormai da tempo, per non parlare di quello del Giappone, enorme ma del quale nessuno si cura - quanto dal fatto che il mondo occidentale si sta lentamente ma inesorabilmente inaridendo. Gli Stati europei - ma anche gli Usa - si trovano a fronteggiare debiti pubblici molto rilevanti in un contesto di crescita bassa ed elevata disoccupazione. Per questo il debito oggi fa più paura: un tempo si accompagnava alla crescita dell'economia e quindi anche del risparmio in grado di finanziarlo. Oggi non più».
Che ruolo ha la speculazione in tutto questo?
«I fondamentali economici non cambiano in modo così frenetico da provocare in pochi giorni una crisi di fiducia così profonda sui mercati. La globalizzazione e l'integrazione tra i mercati, così come l'innovazione finanziaria e la diffusione di strumenti sempre più complessi, hanno contribuito a trasformare problemi locali in problemi globali, e hanno contribuito a generare eccessi di fiducia e di pessimismo sui mercati che - insieme alle indubbie pressioni speculative - portano le quotazioni ad essere eccessivamente volatili, e a subire forti ed improvvise flessioni non del tutto giustificate dalla realtà».
Perché la crisi sta colpendo in particolare l'Area Euro?
«La crisi della Grecia ha aperto una grossa falla nell'Unione Monetaria. Ormai appariva chiaro che gli Stati non fossero più in grado di rispettare rigorosamente i parametri di Maastricht. Si riteneva implicito, tuttavia, che esistesse una qualche forma di garanzia tra gli Stati membri. La ristrutturazione ormai probabile del debito greco, e la grande incertezza sulle decisioni delle autorità europee, hanno invece portato alla luce una realtà diversa. I mercati sono quindi tornati a prezzare ciascuno Stato sulla base dei propri fondamentali. È un chiaro segnale che l'Unione Monetaria possa ora essere a rischio se l'Europa non ritrova un percorso condiviso, anche sul tema del debito».
Che conseguenze ha questo scenario sul fronte degli investimenti?
«Le conseguenze sono senz'altro significative in termini di complessità delle scelte. Un tempo l'investimento complesso per definizione era considerato quello in azioni. La crisi del 2008 ci ha insegnato che può essere più difficile investire in obbligazioni: rischi di insolvenza, di liquidità,... La crisi di oggi ha addirittura colpito i titoli di Stato dei Paesi aderenti all'Euro, vale a dire l'investimento finora ritenuto per definizione più sicuro. In questa situazione è fondamentale concentrare la massima attenzione sul controllo dei rischi e, naturalmente, sulla diversificazione degli investimenti, ora divenuta più importante che mai. Il risparmio gestito (fondi comuni di investimento e gestioni patrimoniali) sta indubbiamente attraversando una fase delicata, di profondi cambiamenti. E tuttavia risponde esattamente all'esigenza di diversificare il più possibile gli investimenti, nonché di poter contare sull'esperienza di un team di professionisti nella gestione dei rischi di portafoglio».
L'andamento negativo dei mercati azionari e di quelli obbligazionari ha però avuto riflessi sulle performance dei fondi di investimento...
Innanzitutto bisogna effettuare confronti omogenei, un fondo comune bilanciato non può essere paragonato a un titolo di Stato. Ma è altrettanto fondamentale tenere presente che non si può confrontare il rendimento - futuro - in termini di cedole che sembra offrire un titolo obbligazionario fino alla scadenza, con la performance - passata - di un fondo comune».
Possiamo fare un esempio?
«Certo. Prendiamo un investitore che deteneva un Btp a media scadenza all'inizio del 2011. Se ora dovesse venderlo per far fronte ad una improvvisa esigenza, scoprirebbe di dover sopportare una perdita di parecchi punti percentuali. I nostri fondi obbligazionari, nello stesso periodo, non hanno perso praticamente nulla, grazie soprattutto alla diversificazione su altri Paesi (Germania compresa), e poi alla scelta del gestore di essere prudente sui titoli degli Stati cd periferici (tra cui l'Italia), nonché al continuo monitoraggio dei rischi».
Tuttavia, mantenendo il titolo fino alla scadenza si è certi di ottenere un rendimento oggi difficilmente eguagliabile da un prodotto di risparmio gestito...
«Questa considerazione non tiene conto del rischio di insolvenza. Investire i propri risparmi in pochi titoli, e magari un solo emittente, è assai rischioso, specie oggi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.