«La gente girava intorno alla caserma con circospezione, alcuni uomini erano armati e portavano una fascia tricolore al braccio. Delle donne ci invitarono a buttare le armi e ad andare a casa, che dei nostri non c' era più nessuno e che la guerra era finita. Così io e Carlo ci consultammo, per poi decidere di calarci dalle finestre poste sul retro e di allontanarci in direzione del Santuario di Nostra Signora del Monte. Gettammo l' elmetto, la divisa e il moschetto nei giardini delle case vicine. Da lontano abbiamo visto la gente che entrava nella nostra ormai ex-caserma, portando via tutto, coperte, scatoloni, sedie. Era il 25 aprile». Così ricordano due genovesi - Domenico e Carlo - il «loro» 25 aprile del 1945, un giorno cruciale nella vita di due ventenni che indossavano una divisa scomoda: quella dei «Risoluti» della Decima Mas.
Sempre amici, Domenico e Carlo, sempre insieme. Dal quartiere del Carmine - prevalenza di portuali e naviganti - al catechismo presso la chiesa vetusta, passando per la palestra di pugilato della Gioventù italiana del Littorio.
Un'infanzia fatta di giochi in strada, gite in treno, lavoretti da garzone, piatti di minestrone e padri severi. La certezza, radicata fin dai banchi di scuola, di appartenere ad un popolo di poeti, di eroi, di santi, di navigatori... Il fascino di avventure sbirciate sui giornalini, raccontate dai grandi, scritte a caratteri cubitali sui muri della città, sempre più grande, sempre più trafficata di navi, di aerei, di uomini che partono per l' Africa cantando. Destino di chi è nato nel
1925. Vivere immersi in una città-stato-scuola-caserma-colonia-oratorio-officina, la realtà di milioni di italiani che vissero nell' epoca del fascismo. Con l' icona del capo riprodotta in centinaia di versioni diverse, ma sempre attraenti: con l'elmetto, a cavallo, in piedi su un carro armato, a torso nudo, di corsa, in riva al mare o circondato da folle in delirio. Il suo sguardo, che non poteva che essere magnetico, veniva fatto proprio anche dai maestri, dai tramvieri, dai padri di famiglie numerose. Il suo sorriso era d' orgoglio.
Due ragazzi genovesi, Domenico e Carlo. Nati cioè nella città di Colombo, di Mazzini, di Balilla! Cosa chiedere di più? Sentire le sirene delle navi, il traffico laborioso dei vicoli, l' odore delle spezie, le prime banane. Un posto di lavoro in una enorme fabbrica, o sulle grandi navi fumanti, o in volo nell'Aeronautica, aquile sui cieli d'Africa...Cosa chiedere di più?
Poi, la guerra. Il buio, il pane più raro, niente odori di spezie, le sirene, ma quelle dell'allarme. Le bombe, gli uomini in divisa, sempre più numerosi, la radio che spara notizie incredibili, nel senso che si stenta a credere. Perchè sì, c'è qualcuno che di notte, nei rifugi, mormora di cose che non vanno. Perché i soldati, quelli che partono, non tornano e se lo fanno, non portano merci rare, solo ferite e sorrisi tesi. E gli inglesi, stramaledetti, hanno osato colpire la città di Colombo, di Mazzini, di Balilla! Domenico e Carlo captano, sentono, ma hanno l' età giusta, prima o poi toccherà anche a loro fargliela vedere. E poi ci sono i camerati germanici, i sommergibili, la nostra Marina, i nostri apparecchi. E poi, le solite donnette che protestano, pregano, piangono. Che sarà mai, la guerra fa parte dell'uomo. Il Re, sempre in divisa. Il capo-reparto, sempre col distintivo in vista. Quello del terzo piano, un fascistone terribile, di quelli della «prima ora», sempre in camicia nera.
Ma poi tutto si fa più brutto. Il fascismo è caduto. Quello del terzo piano non si fa più vedere in giro. Le bombe cadono vicine, distruggono tutto. Passano i tedeschi con l'elmetto in testa, il mitra in mostra. I soldati, o nascosti o andati in Germania. Domenico e Carlo: classe 1925, classe di leva. Che si fa? Si va in Germania pure noi? E se ci mandano in Russia? Si va sui monti? Non mi va la neve, a me piace la Marina, e sui monti c'è la prima, ma non c'è la seconda. La Marina ha messo le ancore a San Fruttuoso, cercano giovani svegli come Domenico e Carlo. Fare il militare in città, andarci col tram, fare le pattuglie di notte, le sfilate in via Venti, cantando per farsi vedere dalle ragazze, che ci vogliono bene, eccome. Con la divisa dei leoni di San Marco, la divisa del Principe Borghese! Ogni tanto qualcuno parte lo stesso. Di notte, sui camion. Vanno in rastrellamento, a caccia di «ribelli». Ogni tanto qualcuno non torna. Ogni tanto si partecipa ad un funerale, ad una messa, ad un rancio a base di tubi e spezzatino. Tutti i giorni ginnastica, corsa, pugilato.
È la vita dei «Risoluti», cosa chiedere di più? E i tedeschi cosa vogliono? Gli si fa vedere noi chi comanda. La Decima comanda, altro che balle!
Da San Fruttuoso a Pegli è un viaggio. Però è meglio se tieni il colpo in canna, non si sa mai, da quelle parti. Quello che è arrivato ieri era un partigiano.
Guardarlo oggi, col basco e il pugnale, sembra uno di quelli dei manifesti di Boccasile. Sempre insieme Domenico e Carlo, anche quella volta che qualcuno ha loro sparato addosso, da lontano, nel buio. Si vedevano le pallottole schizzare contro i muri. Una paura vera, penetrante, da non raccontare a nessuno. Che si dice sul giornale? Cosa fanno i tedeschi? E le V2? Vinceremo, senza dubbio, perchè l' ha detto Mussolini nel film Luce, perché lo dice il sergente, perché lo dicono tutti. Non può essere diversamente. A guardare la gente che applaude in via Venti, sembra che dobbiamo rientrare a Roma oggi stesso, ventitre marzo millenovecentoquarantacinque, cantando a squarciagola l'inno dei «Risoluti».
Sempre insieme Domenico e Carlo. Anche quel giorno di guardia alla caserma di via Marina di Robilant, a San Fruttuoso.
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