Quando è cominciata la battaglia di Giuliano Ferrara contro l'aborto noi ci siamo schierati con lui, fin dal primo momento e senza esitazione. Qualche lettore e anche qualche collaboratore ha elevato obiezioni e le ha espresse in modo più o meno contenuto. Ma la stragrande maggioranza della nostra famiglia è stata d'accordo: l'idea di una moratoria sull'aborto, dopo quella sulla pena di morte, era da appoggiare. E noi l'abbiamo appoggiata.
Così mentre il dibattito politico s'infiammava su sistemi elettorali alla tedesco-spagnola e soglie di sbarramento al 5 o 8 per cento, non ci sembrava vero poter riportare al centro della discussione il tema essenziale della vita: cinque milioni di bambini italiani mai nati, la 194 disapplicata nella parte in cui tutela la maternità, l'interruzione di gravidanza divenuta nel sentire comune una tragica normalità e l'uccisione di un bimbo considerata un metodo anticoncezionale o poco più. Erano argomenti tabù e probabilmente lo sarebbero rimasti se non fossero stati sdoganati da un giornalista laico, che non ha mai frequentato le sacrestie e che viene normalmente collocato nella categoria degli atei, seppur devoti.
Adesso Giuliano Ferrara ha deciso di trasformare tutto questo dibattito in una lista elettorale, la Lista per la Vita. Presenterà le firme, i candidati, chiede un apparentamento alla Pdl, ma è disposto a correre anche da solo. Ha già deciso. E noi pensiamo che sia un errore. Abbiamo appoggiato la sua campagna per la vita, non appoggeremo la sua campagna elettorale.
Non perché, come dice Berlusconi, il tema dell'aborto non debba essere al centro della discussione. Al contrario: siamo convinti che i partiti e i candidati debbano esprimersi su un tema così fondamentale per la nostra esistenza. E di che dovrebbero parlare se no? Solo di tasse, tesoretti e di aliquote? Noi chiederemo loro che cosa pensano della vita. Ma nello stesso tempo ci chiediamo: è davvero di una lista che la vita ha bisogno?
L'idea, sia chiaro, è intelligente, provocatoria, spiazzante, come tutte quelle di Ferrara. Ma è utile alla causa? Non prendiamo nemmeno in considerazione i soliti chiacchiericci romani: sappiamo che il direttore del Foglio crede davvero in quello che fa, ne è coinvolto umanamente in modo profondo, e che decide con la sua testa, non su ordine di Ruini né di Berlusconi, come sussurra qualcuno, né di nessun altro.
Ma allora e ancor di più ci chiediamo se non sia controproducente seppellire una grande battaglia culturale in una piccola percentuale elettorale.
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