Egregio On. DAlema,
nella missione commerciale in Cina Lei non ha mancato di attaccare nuovamente il governo di Israele (le vittime civili non sarebbero, per Lei, un «errore», ma il «frutto di una strategia politica»). La Sua intransigenza politica ha però lasciato spazio a più problematiche considerazioni sulla questione dei diritti umani in Cina. A Lei sembra più tollerabile e comprensibile la (per carità, ingiusta...) persecuzione cinese del Dalai Lama e della dissidenza nonviolenta tibetana, della reazione militare israeliana al terrorismo assassino di Hamas. Le bordate contro Israele e la condiscendenza verso Pechino si qualificano e si giustificano reciprocamente e danno, purtroppo, la cifra della Sua politica estera.
Eppure, la violazione delle libertà fondamentali non è una fisima umanitaria, ma attiene alla sostanza, anche economica, del «modello cinese». Il legame fra repressione politica ed espansione economica è il tratto caratteristico del «capitalismo di Stato» cinese; converrà che questa caratteristica - per il bene di tutti, anche dei produttori italiani ed europei - dovrebbe essere superata e non consolidata con l'avallo plaudente delle cancellerie occidentali. A meno di non ritenere - ma non La facciamo così cinico o ingenuo - che le persecuzioni personali (per qualunque forma di dissidenza civile, politica e religiosa) siano strumenti adatti e «proporzionati» all'obiettivo di assicurare la stabilità del regime cinese e l'espansione del mercato globale.
Oggi, in Cina, c'è più censura, più violenza e meno libertà di quanta ve ne fosse due o tre anni fa. Lei ha sostenuto esattamente il contrario. Altri suoi colleghi di governo europei, a partire dalla signora Merkel, hanno usato parole più dirette e veritiere, denunciando la violazione del diritto di espressione e della libertà di culto, e perfino esigendo di incontrare un vescovo cattolico «dissidente» nell'ambito di una visita ufficiale. E, nonostante questo, la Germania, ha (per usare le sue parole) «quagliato» in Cina assai più di noi, sul piano commerciale.
Quando Prodi e la sua mastodontica delegazione sbarcarono a Pechino, dicemmo al Presidente del Consiglio che il modo più serio per sollevare la questione dei diritti umani in Cina sarebbe stato quello di partire da casi concreti. E il più concreto era allora, e continua ad apparirci ora, quello dell'avv. Gao Zhisheng, arrestato qualche mese fa dopo avere sfidato il regime con azioni nonviolente e cause giudiziarie, che lo avevano proposto all'attenzione di tutto il mondo come il più temibile dissidente cinese. Da Prodi non venne alcuna risposta. Anzi, forse la risposta più esplicita e sprezzante: lo zelante sostegno alla revoca dell'embargo sulle armi, richiesta a gran voce da Pechino.
Signor Ministro, vorrà stupirci e smentirci nella nostra sfiducia, spendendo con i suoi interlocutori cinesi (magari prima dell'arrivederci) qualche non pelosa parola sul caso di Gao Zhisheng?
*Presidente
dei Riformatori Liberali
e deputato
di Forza Italia
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