Caro Pd, la legge è chiara: paga le tasse sulle primarie

MACCHÉ REGALO I due euro chiesti nei gazebo non vanno equiparati alle donazioni: sborsarli era obbligatorio

Caro Pd, la legge è chiara: paga le tasse sulle primarie

Gli oltre 4 milioni di euro incassati dal Pd per le primarie, a carico di chi vi voleva votare, debbono pagare l’imposta sul reddito delle società. Ciò anche se tali somme sono stata chiamate «offerte». È vero che i «doni» non rientrano fra i redditi tassabili. Ma ciò non basta per evitare, in questo caso, il tributo e la relativa dichiarazione dei redditi.
Il signor Rabesani nella rubrica «La parola ai lettori» ha posto il quesito se queste somme sono equiparabili alle mance ai camerieri e ai portieri d’albergo, che la Guardia di finanza sta setacciando, per sottoporle a tassazione. La risposta è affermativa. L’organizzazione che li ha incassati deve fare la dichiarazione dei redditi e dichiararli. Un’organizzazione politica o di qualsiasi altro genere non ha bisogno di essere dotata di una personalità giuridica, per essere sottoposta alla imposta sulle società. Infatti l’articolo 73 del Testo unico delle imposte sui redditi dispone che sono soggetti al tributo in questione, oltre alle società e agli enti pubblici e privati anche le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario e autonomo. Questo principio del Testo unico risale a Ezio Vanoni, il professore e ministro delle Finanze che introdusse la dichiarazione dei redditi per civilizzare il rapporto fra fisco e contribuente. Nella civiltà di questo rapporto vi è sia il principio che il fisco non fa vessazioni, come accertamenti a fantasia, sia quello che il potenziale contribuente non cerchi di eludere le imposte con espedienti apparentemente legali. Non so quale organizzazione abbia gestito le primarie, se il Pd nazionale o un suo ente collaterale o un’entità apposita. In ogni caso si tratta di un’«organizzazione» di diritto o di fatto, facente capo al Pd. Quindi c’è un soggetto tassabile che deve fare la dichiarazione dei redditi per queste somme. Va notato che gli enti non commerciali sono tenuti a tale dichiarazione per i redditi che ottengono, sia con le attività non commerciali sia con le commerciali che svolgano collateralmente. C’è però una differenza, che alleggerisce il peso fiscale, nel caso delle cosiddette donazioni fatte per partecipare alle primarie. I redditi di attività commerciali dei soggetti non commerciali oltreché alla imposta sul reddito sono sottoposti all’Iva e all’Irap. Quelli delle attività non commerciali pagano solo l’imposta sul reddito: Nelle categorie dei redditi tassabili, elencate nel Testo unico, come dicevo, non sono inclusi i donativi. Ma con questo termine esso intende solo gli atti di liberalità, che non hanno contropartita. Le offerte da due euro in su per le primarie non vi rientrano. Esse rientrano nei redditi «diversi» dell’articolo 67, tassati, a seconda dei casi, con l’imposta sulle persone fisiche o sulle società. Infatti, per la lettera «i» dell’articolo 67 si considerano «redditi diversi» tassabili i proventi derivanti «dalla assunzione di obblighi di fare, di non fare o di permettere». Come si vede, la legge fiscale stabilisce che, ai fini della tassazione, il pagamento per ottenere un diritto, è assimilato ai veri corrispettivi. Si tratta di una norma «anti elusione». Senza questa norma, per evitare il tributo sul reddito basterebbe stabilire che per «permettere» di entrare in un museo o in un party o in un sito di Internet non si paga un prezzo, ma si deve fare un’«offerta» non inferiore a un dato livello. Dunque le donazioni per votare alle primarie vanno tassate, perché costituiscono il quid che si paga per avere un permesso di partecipazione. Se fossero vere donazioni, la partecipazione al voto sarebbe consentita anche a chi non pagasse nulla o desse meno di due euro.
Una «liberalità» obbligatoria non è «liberalità». E il fisco la tassa. La formula del donativo con un livello minimo, inoltre, per consentire una tassazione in base alla dichiarazione dei redditi, comporta di esibire, ai fini fiscali, un registro con l’importo e le firme di chi ha dato le offerte. Se esso fa difetto, il fisco non potrà fermarsi alla supposizione di soli due euro a testa, né credere sempre a una dichiarazione dei redditi con una cifra di poco superiore.

Dovrà adottare una presunzione di incasso forfettario, basata oltreché sul numero, anche sulle caratteristiche dei partecipanti. Il principio tributario equo è «pagare tutti per pagare meno». È augurabile che i partiti siano i primi a rispettarlo.

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