C’è chi dice che l’università è una giungla o una savana selvaggia. Se fosse vero, il docente di peso, il barone, sarebbe un rinoceronte. Un possente animale, rispettato e temuto da tutti gli altri. E con una schiera di piccoli volatili che vivono attaccati alla sua schiena. Non parassiti, ma piccoli servitori che si nutrono alati delle sue briciole.
Il barone-rinoceronte, specie aggressiva che in questi giorni pascola più nelle piazze che nelle aule, sbraita contro chi vuole intaccare il suo piccolo pezzo di paradiso. E come non capirlo. Se è a sua volta figlio di un barone, probabilmente ha dovuto superare un concorso farsa, in cui i nomi dei vincitori erano già stati concordati con una telefonata di papà. Se invece è figlio di nessuno, per arrivare dov’è, per anni avrà dovuto recitare la dura parte del volatile che pulisce la schiena a un altro rinoceronte, assecondando ogni suo volere. E ora che tocca a lui, vogliono cacciarlo dal suo trono nella savana?
Certo non tutti i professori sono uguali, ma controlli non ce ne sono, per cui sta alla coscienza del docente decidere se darsi da fare o navigare sull’onda di una carriera che non conosce ostacoli per legge. I professori non hanno un contratto nazionale, il loro stipendio è deciso per legge, come quello dei magistrati. E non è un salario da fame.
Un ordinario appena assunto guadagna intorno ai 3.000 euro al mese. Ma appena entrano nella savana, il barone può correre libero verso l’aumento che pioverà sicuro ogni due anni, esclusivamente in base all’anzianità di servizio. Può evitare di affannarsi a fare quella ricerca che userà come stendardo per difendere i suoi privilegi, può non pubblicare una riga, può insomma godere del suo status senza alcun merito. A fine carriera in ogni caso uno stipendio di 4.400 euro sarà comunque assicurato. Non sono cifre da miliardari, ma tutto è relativo. Lo è anche l’orario di lavoro.
Il minimo indispensabile è tenere almeno un corso cioè insegnare per 60 ore. A semestre. Fa dieci ore al mese. Naturalmente le università più serie chiederanno di tenere almeno due corsi, ma bisogna tenere conto che non ci sono cartellini da timbrare, né firme, né alcun altro tipo di controlli sull’effettiva presenza del docente in classe. Una volta infatti, il barone mandava spesso uno dei suoi assistenti-volatili a sostituirlo nelle mansioni più fastidiose. Ora gli assistenti non ci sono più, ma il rinoceronte è un animale ingegnoso. E ha inventato i «cultori della materia», giovani laureati che ambiscono a raccogliere qualche briciola, disposti a svolgere ogni genere di mansione per il loro professore. Perché sanno benissimo che lui è il loro unico faro, colui che potrebbe benevolmente estrarre il loro numero dal bussolotto e fargli vincere un dorato posto nella savana. Naturalmente non si può delegare tutto a loro. E allora è stata creata un’altra figura, i professori a contratto. Al barone che conta davvero in facoltà non è difficile ottenere di far assumere professionisti esterni a cifre minime a cui delegare una parte del corso o dei seminari. Altri clientes, altri fedeli servitori con contratti a termine, il cui rinnovo dipenderà unicamente dal loro nume tutelare.
Ci sono poi il ricevimento studenti, può bastare un’ora o due a settimana dopo le lezioni, le riunioni accademiche. Ma se non si partecipa, non c’è alcuna conseguenza. In compenso ogni cattedra ha a disposizione un budget (variabile a seconda del «peso» politico del docente) che il professore serio usa per la ricerca, ma che ad esempio può finanziare una «missione» di studio. Chi controlla se è un viaggio produttivo o una vacanza? Nessuno, ovviamente. Del resto le ferie in qualche modo bisogna riempirle. Le lezioni terminano a metà luglio e riprendono a settembre. Poi ci sono 15-20 giorni a Natale e le altre feste comandate. Ma soprattutto, l’università può essere un trampolino di lancio per la propria professione.
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