Le carte dai Caraibi che fanno tremare Fini

Nei documenti del governo di Saint Lucia in mano alla Farnesina e in arrivo in Procura ci sono le prove che le due off-shore al centro dell’affaire Montecarlo fanno riferimento a Giancarlo Tulliani. Magistrati spiazzati: «Ma non le abbiamo chieste»

Le carte dai Caraibi che fanno tremare Fini

Gian Marco Chiocci
Massimo Malpica

RomaL’incartamento caraibico sull’affaire immobiliare monegasco, ora alla Farnesina, arriva in procura a Roma. E per Fini, che ci ha scommesso il posto di presidente della Camera, si mette male. In quelle carte infatti c’è la minuziosa ricostruzione delle scatole societarie messe in piedi per nascondere il vero titolare (suo cognato, Giancarlo Tulliani) delle due società off-shore con sede a Saint Lucia, Printemps e Timara, emersa dall’inchiesta interna avviata a settembre dal governo dell’isola. Il primo ministro di Saint Lucia, Stephenson King, chiese all’«attorney general» Lorenzo Rudolph Francis di far luce su quelle due piccole compagnie con sede nella capitale dell’isola per evitare «cattiva pubblicità», mentre in Italia montavano le polemiche per l’inchiesta del Giornale sulla casa che An aveva ereditato «per la buona battaglia» e nella quale, dopo una vendita low cost, era finito ad abitare guardacaso il «cognato» di Fini.
Il colpo di scena è che non c’è un colpo di scena. Quanto rivelato già a settembre, quando il contenuto di un confidential memo sulle indagini preliminari diretto al premier King finì pubblicato dai giornali di Santo Domingo, viene confermato anche ora che le autorità dell’isola caraibica hanno concluso l’inchiesta. È Tulliani che controlla le off-shore, è lui il proprietario della casa di boulevard Princesse Charlotte a Montecarlo. In più, rispetto a settembre, c’è la mole di materiale che spiega e dimostra in che modo il «cognato» di Fini, che ha sempre negato di essere proprietario di quella casa, aveva costruito il complesso sistema di scatole cinesi. Uno stratagemma per non apparire quale acquirente, quando il senatore Francesco Pontone, nel luglio del 2008, si presentò dal notaio Aureglia, nel Principato, su procura di Fini, per vendere l’ormai celebre appartamento ricevuto in eredità da Annamaria Colleoni.
Quanto contenuto nell’incartamento, bollato frettolosamente dal portavoce di Fini, Alfano, come «minestra riscaldata», è in realtà molto più significativo di quanto i finiani provino a far credere. Ma il motivo del tentativo di minimizzarne la portata è chiaro: proprio Fini, nel suo videomessaggio di fine settembre, si spinse a dire che se fosse emerso «con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita», non avrebbe esitato «a lasciare la presidenza della Camera». Sul punto le carte sono devastanti. E la condizione posta dalla terza carica dello Stato per mollare la poltrona è prossima a verificarsi. Ma non solo i fedelissimi di Gianfranco snobbano l’incartamento di Saint Lucia.
Ieri la procura di Roma ha sentito il bisogno di far sapere tramite agenzie di «non aver mai richiesto» quelle carte, che pure dovrebbero chiudere, rumorosamente, la vicenda. Un gesto di «cortesia istituzionale» che ha innescato il commento sarcastico di Francesco Storace: «Non avevamo alcun dubbio che la procura di Roma fosse disinteressata a conoscere la proprietà della casa di Montecarlo», spiega il leader della Destra: «Non è come le altre procure che interrogano mezzo mondo quando i politici sono altri. Loro non hanno disturbato né Fini né Tulliani». Ma, ovviamente, quando i documenti arriveranno a palazzo di giustizia, i magistrati romani dovranno esaminarli. Al momento, quegli stessi «ambienti giudiziari» che hanno preso le distanze dalla svolta targata Caraibi, hanno fatto sapere che le carte potrebbero sfociare in un nuovo fascicolo d’indagine, oppure integrare quello già aperto ad agosto, che vede indagati per truffa Fini e Pontone e per il quale l’aggiunto Laviani e il procuratore capo Ferrara hanno chiesto l’archiviazione. A esaminare le carte sarebbe il gip chiamato a pronunciarsi sull’opposizione a quella richiesta nell’udienza del prossimo 2 febbraio: Carlo Figliolia, cugino di Ettore, ex capo di gabinetto di Francesco Rutelli, che con Fini è uno dei leader del Terzo polo. Parentele a parte, per quest’ultima soluzione spingono Marco Di Andrea e Roberto Buonasorte, i due esponenti della Destra che con un esposto-denuncia diedero il via alle indagini, e che si sono opposti alla richiesta di archiviazione. I due chiederanno a Figliolia un supplemento d’indagine, finalizzato ad acquisire ed esaminare gli atti dell’inchiesta interna arrivata dal piccolo Stato insulare. Sarebbe una rivoluzione rispetto all’iter molto accomodante (per Fini) delle indagini. I pm romani sono andati avanti lavorando sulla congruità del prezzo di vendita (riconosciuto come troppo basso), non sulla questione se Tulliani fosse affittuario o proprietario della casa.

E sfiorando quest’ultimo tema solo per «smentire» il Giornale, che rivelò come sul contratto d’affitto le firme di locatario e locatore fossero identiche. Salvo, nella richiesta di archiviazione, ammettere a malincuore che avevamo ragione noi: le firme erano uguali.

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