Regolarmente, nel cortile di un palazzo di Rue Séguier, a Parigi, proprio alle spalle di Notre-Dame, entrava un uomo alto, magro, elegante. Suonava il pianoforte a casa di una delle inquiline, Barbara Bray: Schübert, Haydn, Händel. Se ne accorgevano tutti, quando arrivava: perché il cagnetto al piano terra, di solito silenzioso, appena ne fiutava l'odore cominciava ad abbaiare furiosamente. Era l'inizio degli anni Sessanta e i vicini di casa, allora, non lo riconoscevano, ma quell'uomo dalla silhouette un po' oblunga che faceva inquietare il cagnolino era Samuel Beckett. Oggi invece gli abitanti di quell'edificio nel centro parigino se lo ricordano bene, quel signore, che nel 1969 aveva anche ricevuto il Nobel per la letteratura, e che all'epoca delle sue visite in Rue Séguier era già sposato con Suzanne Déchevaux-Dumesnil. Però amava già Barbara Bray, la giovane produttrice e redattrice inglese che Beckett aveva conosciuto a Londra, e che per lui aveva lasciato la carriera alla Bbc (dove fra l'altro aveva aiutato a emergere un autore come Harold Pinter) e si era trasferita a Parigi, a 36 anni. In Francia Barbara sarebbe diventata protagonista della vita intellettuale dell'epoca con le sue traduzioni di Sartre, Robbe-Grillet, Genet e in particolare di Marguerite Duras, della quale era amica.
E in Francia, soprattutto, è rimasta al fianco di Beckett per quasi trent'anni: compagni intellettuali e anche innamorati, «dalle menti simili» ricorda Marek Kedzierski, regista di origini polacche che ha conosciuto entrambi ed è diventato, negli anni, molto amico della Bray, fino a raccogliere ore di registrazioni di conversazioni con lei, le sue memorie, che ha poi trasformato in un documentario, Rue Samuel Beckett . Un lavoro presentato al Festival di Enniskillen, in Irlanda del Nord, due anni fa ma tuttora inedito (il regista ha al momento contatti per una pubblicazione sulla televisione francese o tedesca) dove, oltre ai racconti di vita quotidiana e letteraria di Bray e Beckett, sono mostrate al pubblico, per la prima volta, delle immagini molto private dell'autore di Aspettando Godot . Sono le fotografie scattate dalla stessa Bray nella casa di campagna di Beckett a Ussy-sur-Marne, una cittadina a circa settanta chilometri a est di Parigi dove lo scrittore si rifugiava per scrivere, leggere, stare da solo. Una villetta isolata, a tre chilometri dal centro, vicino a un incrocio dove oggi svetta, allampanato, un cartello stradale: Rue Samuel Beckett . «Quando l'ho fotografato e l'ho mostrato a Barbara, lei ha detto che le ricordava Beckett» racconta Kedzierski al telefono dalla sua casa di Parigi. È così che è diventato il titolo del documentario. «E poi c'è un altro motivo: to rue in inglese significa soffrire, e quella per Barbara era la strada della sofferenza, del suo amore doloroso per Beckett». Un uomo che la amava, ma non aveva mai voluto separarsi dalla moglie. Barbara era diventata «la donna invisibile», the invisible woman , «anche se lei non avrebbe mai voluto esserlo». La donna dietro la macchina fotografica anche nell'intimità totale di Ussy: «Beckett amava quella casa. Dopo la guerra ci andava con Suzanne e alla fine erano riusciti a comprarla, grazie all'eredità della madre di lui. Poi però la moglie aveva smesso di andarci e così era diventata il suo rifugio, il luogo in cui stare da solo e lavorare. Non invitava nessuno». A parte Barbara.
Come racconta lei stessa nel documentario, ormai anziana (è morta nel 2010, dopo i lunghi strascichi di un ictus che l'aveva costretta a usare la sedia a rotelle), si capivano perfettamente. Si erano conosciuti a Londra, nel 1956, per la produzione radiofonica di All that Fall ( Tutti quelli che cadono ): da professionale, il rapporto era diventato piano piano amoroso, ma non solo. «Lei lo spronava a scrivere, gli suggeriva i libri da leggere, lo consigliava sulle traduzioni delle sue opere». A volte andava a vedere di nascosto le rappresentazioni dei suoi drammi a teatro, per fargli da «spia». Un'intesa totale, romantica e intellettuale, anche se lei «aveva troppo rispetto per la loro relazione, voleva essere discreta a tutti i costi: e così, paradossalmente, la persona più vicina a Beckett è stata anche una delle più restie a parlare di lui». Anche le memorie che avrebbe voluto scrivere (un lavoro per il quale Kedzierski ha cercato di aiutarla fino alla morte) erano più che altro un «ritratto intellettuale» di Beckett: niente gossip o vita intima. Però «voleva mostrare come Beckett, oltre a essere un genio della letteratura, fosse una persona straordinaria». E non solo un letterato immerso a meditare sulla profondità e la tragicità dell'esistenza, anche se certo la villetta in campagna era «molto spartana, monastica, e lui vi conduceva una vita minimalista». «Come mostrano le foto a Ussy, Beckett era anche un uomo molto terra terra, molto fisico: amava il lavoro manuale e la natura, riconosceva il canto degli uccelli, curava il giardino da solo, alla perfezione. Amava e odiava allo stesso tempo Parigi, dove camminava a lungo, per sfogare la tensione: ma dove si liberava davvero era a Ussy». Anche grazie alle corvée in giardino, «da contadino», come «il falò delle foglie», un'attività che è parte della routine autunnale ma anche dell'immaginario della letteratura e che appare, per esempio, «in un momento di Play ( Commedia ), una sorta di triangolo amoroso ironico» cioè, di fatto, il racconto teatrale del rapporto Beckett-Suzanne-Barbara e che, fra l'altro, fu recensita per prima dalla stessa Bray. Anche da Ussy, dal suo tavolino in giardino, Beckett scriveva a Barbara e leggeva le sue lettere: se ne sono scambiate migliaia in quasi tre decenni di amore nascosto.
«Oggi, le 720 missive di Beckett a Barbara sono state pubblicate nella collana delle sue Lettere della Cambridge University Press: così tutti possono sapere quanto fossero vicini». Così Barbara Bray è un po' meno la donna invisibile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.