Casa Savoia, scoppia la guerra dei brevetti

«Mio padre non ha mai indicato Amedeo come erede al trono»

Gianluigi Nuzzi

da Milano

Lo scontro tra i Savoia e Amedeo d’Aosta finisce in Tribunale con una doppia causa civile che Vittorio Emanuele intenterà per difendere stemma di famiglia e titoli nobiliari. Insomma, dopo le intercettazioni dell’estate, il carcere dell’assolata Potenza con l’onda tellurico-giudiziaria a scuotere la Real Casa, ora spunta la diatriba per le chiavi del Casato. E si scopre che per proteggere lo stemma i reali devono aver passato notti insonni a spulciare leggi, codicilli e manuali d’araldica fino a portare copia serigrafata dello stemma all’apposito ufficio del registro. E brevettarlo come un’invenzione per difenderlo da mani ignave. L’annuncio vien suonato in un albergo nel centro di Milano. Annunciata conferenza stampa di Vittorio Emanuele. La prima dall’arresto su richiesta del pm lucano John Henry Woodcock. La platea è divisa in perfette metà. A destra eleganti e attempati monarchici che s’alzano in piedi all’ingresso di Vittorio Emanuele e signora. A sinistra cronisti e fotografi. Che seduti aspettano chissà quale annuncio. L’effetto visivo è notevole.
Per otto minuti il principe lamenta un «subdolo e sistematico attacco nel modo subdolo dei poteri occulti» che avrebbero gettato discredito sui Savoia da quando i sondaggi davano la Real Casa in crescita di consensi. Una crescita dovuta al fatto che «in un momento di confusione sociale e politico le persone si affidano ai simboli conosciuti». Peccato che il principe non spieghi chi siano questi «poteri occulti». Niente di nuovo. Non accade mai quando qualcuno li indica come registi di chissà quale intrigo. «Non so se ci sia un disegno unico - afferma - dietro quello che mi è accaduto». Ma Vittorio Emanuele sembra particolarmente ferito da Amedeo d’Aosta per i continui scontri. «Io credo che Amedeo D'Aosta - afferma il principe - sia uno strumento inconsapevole di questo attacco. Difficile colpire Casa Savoia compatta e unita. Più semplice sarebbe se fossero gli Aosta a guidarla». E poi lapidario: «Mai mio padre re Umberto II ha citato in alcun modo, né verbale né per iscritto, Amedeo D'Aosta quale suo erede. Anzi, lo sollevò dall'incarico di esecutore testamentario. Non lo citò nel testamento proprio per evitare una qualsiasi interpretazione strumentale alle sue mire, già conosciute dal re».
Un altro capitolo riguarda la morte del giovane Dirk Hamer all’isola Cavallo. Una storia ormai alle spalle, se non fosse che il gip di Potenza, per confermare il divieto d’espatrio, ha indicato alcune intercettazioni avvenute nella cella del principe con Vittorio Emanuele che si sarebbe vantato di averla fatta franca in Francia. «Due tribunali francesi - spiega - si sono pronunciati prosciogliendomi da ogni responsabilità. Non mi hanno solo assolto. Mi hanno prosciolto. Lo hanno fatto perché ci sono prove chiare, esaminate per anni con tecniche sempre più sofisticate. La pallottola che ha colpito il ragazzo non poteva essere del mio fucile. Lo hanno dimostrato i periti davanti alla Corte d’assise e al giudice istruttore. Qualcuno ha sparato con una pistola a quel povero ragazzo. Non ci sono dubbi, né incertezze: è la verità». Insomma, i magistrati di Potenza «hanno stravolto il senso delle mie parole».

Il difensore Francesco Murgia solleva infine dubbi anche sulla «trascrizione di queste intercettazioni con indicazioni di frasi o parole incomprensibili, spazi vuoti, parole riprese, puntini di sospensione senza indicati i tempi». Insomma una trascrizione non proprio perfetta che «non autorizza nessuno - conclude l’avvocato - a dare un senso compiuto a parti di frasi».
gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it

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