Roma - Lui la chiama «una scelta di pacificazione». Il centrodestra incassa con gran sollievo l’apertura di Pier Ferdinando Casini, e legge nella sua promessa di sostenere «le iniziative serie» del governo l’ufficializzazione della linea della mano tesa a Berlusconi. A masticare amaro, invece, sono il Pd (dal cui pressante corteggiamento Casini si smarca con destrezza: o me o Vendola, il Pd faccia «una scelta precisa», ben sapendo che il Pd non può farla) e Fini. Che secondo i maligni non era stato neppure avvertito dell’esternazione casiniana, via Corriere della Sera.
Il capo Udc mette naturalmente molte mani avanti, elenca paletti e esclude di voler fare «regali» al premier, o riceverne. Spiega che non sta certo offrendo di fare la «forza di complemento» della maggioranza; che è «degradante» immaginare di comprare i suoi voti con «qualche poltrona ministeriale»; che se qualcuno nel Pdl pensa di «rimettere le lancette indietro di dieci anni» e tornare all’alleanza del 2001 sbaglia: «È passata una stagione». Ma, in politica, di stagioni se ne possono sempre aprire altre: «È giusto guardare al futuro».
Il futuro Casini se lo giocherà in una trattativa di lungo periodo con Berlusconi, quando si tratterà di definire gli organigrammi istituzionali della prossima legislatura: premiership, presidenza della Repubblica, delle Camere, leadership del centrodestra. Nell’immediato, il leader dell’Udc ottiene due risultati non da poco: blinda i propri parlamentari (e su questo fronte aiuta anche Fini), evitando che qualche pecorella smarrita e incredula sulle prospettiva del Terzo Polo ceda al pressing berlusconiano; e allontana di un colpo il pericolo di elezioni anticipate.
Gli ultimatum della Lega sul federalismo e le resistenze di Tremonti sui conti che non permettono di aprire nuovi capitoli di spesa rimbalzano contro il muro di gomma di Casini: ormai, spiega, il federalismo fiscale è legge, e si tratta solo di mettersi d’accordo sulle «tecnicalità» dei decreti attuativi. Su cui non sarà certo l’Udc (né Fli) a fare le barricate. Anche il quoziente familiare, reclamato più volte dai centristi, viene tolto dal tavolo: basterà qualche segnale in quella direzione, che sia «compatibile con i conti pubblici».
Gli uomini di Fli, costretti a subire la leadership Udc, fanno buon viso a cattivo gioco: bene Casini, «rafforza la nostra convinzione sulla necessità di un nuovo corso che faccia uscire il Paese dalla deriva muscolare», dice il capogruppo Bocchino, che ieri a pranzo ha avuto un lungo colloquio con il leader Udc. «In fondo stiamo dando una mano anche a Fini - assicurano i casiniani - se restava arroccato su una linea anti-Berlusconi non andava da nessuna parte, così invece riuscirà a tenere i suoi». E se per un po’ Fini dovrà starsene in disparte, «a tutti tocca fare il sommergibile dopo una sconfitta. Poi si risale, come Pier...».
Le prossime prove della maggioranza in Parlamento, a questo punto, appaiono meno ardue, anche senza afflusso di nuovi parlamentari: il gran battage sul gruppo dei «responsabili» pronti a passare con la destra, spiega qualcuno nel Pdl, è servito più che altro a costringere Casini e Fini a «venire a patti». Berlusconi conta però sull’Mpa: oggi vedrà Lombardo, in gran difficoltà in Sicilia perché la base Pd è in rivolta contro il sostegno al suo governo, e far pace coi berluscones dell’isola potrebbe per lui essere questione di sopravvivenza. Il passaggio al Pdl del senatore Burgaretta, ex Mpa, viene visto come un primo segnale in tal senso.
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