Casini, a re tentenna serve il coraggio della svolta

RomaPer fortuna non ci sono altre elezioni in vista, si dice dalle parti di via dei Due Macelli. Il fatto è che il post elezioni dell’Udc è più accidentato del previsto. Ufficialmente dentro il partito tutto è fermo, con i vertici quasi tutti in vacanza, compreso il leader Pier Ferdinando Casini. Ma continuano i mea culpa sulla linea scelta per le elezioni regionali, in particolare nelle regioni dove la sfida centrista non ha portato risultati. Rumoreggiano i leader locali e poi crescono le incertezze su come affrontare altri tre anni di legislatura.
Una traversata del deserto non facile, aggravata dalle punzecchiature che in questi giorni arrivano da entrambi i poli. A infierire è stato soprattutto il centrodestra. Prima i tentativi di persuasione dei finiani di Generazione Italia che hanno invitato l’Udc ad avvicinarsi al Pdl, in funzione anti-Lega. Ieri a buttare sale nelle ferite ci ha pensato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti, ricordando come l’elettorato Udc sia «di centrodestra tanto è vero che in queste ultime elezioni regionali, in cui l’Udc ha seguito la politica dei forni e fornetti, sono andati bene dove sono venuti con noi mentre quando sono andati da soli o con la sinistra non hanno ottenuto gli stessi risultati. Esempio classico è quello del Piemonte». Parole che feriscono il vertice dell’Udc, anche perché non sono molto diverse da quelle che si sentono nel partito da un paio di settimane.
Ancora più esplicito l’appello rivolto da Maurizio Lupi all’Udc: tornare nell’orbita del centrodestra mantenendo il simbolo. Ieri il vicepresidente della Camera ed esponente cattolico del Pdl ha un po’ corretto la rotta precisando che il Pdl «non corteggia nessuno». Però la sostanza dell’analisi rimane la stessa: la «politica dei tre forni dell’Udc di Casini» non funziona. «Quando l’Udc va a sinistra perde voti, com’è accaduto in Piemonte. Siamo in Europa insieme nel Partito popolare. Insomma, non vedo perché‚ l’Udc non debba ritornare a quell’alleanza che le è connaturale. A questo punto noi avremmo potuto vincere anche in Regioni che sono state consegnate alla sinistra, come la Puglia e la Liguria». L’idea di un ritorno dell’Udc, autonomo dal Pdl comunque non piace ai finiani, perché darebbe a Pier Ferdinando Casini una visibilità maggiore rispetto a Gianfranco Fini, che ha sacrificato An.
Al momento, l’Udc non intende fare passi verso il Pdl. Ma la ragione, più che una conferma della strategia centrista, è l’incertezza sul cosa fare e quando muoversi. Non aiuta il risultato elettorale che ha visto il partito sostanzialmente stabile per quanto riguarda la percentuale, ma decisamente perdente in alcune partite politiche chiave, come quella del Piemonte. Non ci sono vittorie alle quali appellarsi, come dimostra la reazione di Savino Pezzotta, coordinatore della Costituente di centro, ai pressing Pdl, tutta incentrata nella condanna del bipolarismo e sull’astensionismo: «Ben sedici milioni di italiani si sono rifiutati di andare a votare, hanno votato scheda bianca oppure non hanno scelto i due mega blocchi. Sono sedici milioni di persone che chiedono una buona politica, che sia coerente e persuasiva».
I vertici del partito devono tenere buoni i leader locali, in particolare nelle regioni dove hanno perso. E difficilmente basteranno le nomine nei nuovi organismi locali della costituente centrista annunciate da Pezzotta, così come l’accelerazione della fase congressuale. Con la sinistra non va meglio. Le uniche sirene che cercano di tentare l’Udc sono quelle della nuova giunta pugliese. Il presidente Nichi Vendola, esponente emergente della sinistra radicale, vorrebbe allargarsi ai centristi.

Il segretario del Pd Pierluigi Bersani, continua a mostrarsi aperto ai centristi, anche se di concreto non c’è niente. Anzi. Il partito centrista potrebbe diventare una minaccia per il Pd, dove la componente cattolica è di nuovo in subbuglio.

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