Politica

Casini resiste al Cavaliere: i leader della Cdl restino quattro

Ma Berlusconi insiste: «Gli elettori della Casa delle libertà non la pensano come te»

Adalberto Signore

nostro inviato a Todi (Perugia)

I toni sono calmi e pacati, senza eccessi o animosità. Ma conditi da una grande freddezza e da molte frasi di circostanza e qualche silenzio imbarazzato. Il segnale chiaro di una distanza che sembra essere ormai siderale. Così, mentre a Todi va in scena il quarto seminario sul partito unico organizzato da Ferdinando Adornato, a Roma Silvio Berlusconi e Pier Ferdinando Casini parlano a lungo proprio del futuro della Casa delle libertà e dei prossimi passaggi parlamentari che impegneranno l'opposizione. E soprattutto sul primo punto non si muovono di un passo dalle loro posizioni. Se il Cavaliere ribadisce l'intenzione di andare avanti sulla strada del partito unico del centrodestra o quantomeno di un suo primo embrione (il Partito della libertà a cui pensa da qualche mese), il leader dell'Udc la vede in modo diametralmente opposto. «Bisogna rilanciare i singoli partiti - spiega - e non la coalizione. E dunque un soggetto unitario non può essere certo all'orizzonte». Casini, insomma, esprime le perplessità di sempre, perché «così come è stato tratteggiato è solo un progetto verticistico che non coinvolge la base delle elettorato». E poi, aggiunge, «lo hai troppo caratterizzato come una tua idea, come un'altra Forza Italia». Invece, è il ragionamento dell'ex presidente della Camera, se nella coalizione ci sono tre o quattro partiti i leader devono essere altrettanti. Insomma, «questo è un colloquio tra pari, tra il capo di Forza Italia e il capo dell'Udc». Non a caso, spiega, non c'è stato alcun vertice a tre o a quattro, «ma solo incontri bilaterali» (mercoledì quello tra Berlusconi e Fini, ieri tra il Cavaliere e Casini). E ancora: «Nella coalizione ci sono solo partiti che si confrontano alla pari».
L'ex presidente del Consiglio ascolta in silenzio e non si scompone. Obietta, come aveva già fatto con il leader di An, che «la base la vede in modo diverso è che la spinta unitaria che viene dal basso è fortissima». «Non immagini - dice a Casini - quante telefonate riceviamo anche da tuoi elettori. Tutti ci chiedono di restare uniti». Ma il Cavaliere non fa breccia, perché il leader dell'Udc è fermamente convinto che si stia aprendo «una stagione nuova». E «visto che non ci sono prove elettorali all'orizzonte» c'è tutto il tempo «per una riflessione seria» senza dover «mortificare le nostri identità». Spiegherà più tardi da Chianciano Terme: «Mi propongo di rafforzare e di costruire un centro alternativo alla sinistra, che non è disponibile a sedersi nel governo Prodi, dove fare convergere tutti quelli che non ci hanno votato il 9 aprile».
Solo sul fronte dell'opposizione parlamentare i due sembrano meno distanti. Perché Casini ammette che «è necessario dar vita a un organismo comune di coordinamento tra i vari partiti dell'opposizione». «Ma come - replica Berlusconi - me lo dici proprio tu che sull'Afghanistan vai avanti per la tua strada?». «Vedrai - ribatte il leader centrista - che alla fine capirete le nostre ragioni e voterete anche voi il decreto». Possibilità alla quale l'Udc sembra credere davvero, nonostante da Palazzo Grazioli arrivi una secca smentita: «Un'ipotesi che non esiste». Distanze siderali, dunque, mitigate solo da un piccolo passo indietro sul decreto Bersani, perché - spiega Casini - «al di là della filosofia che resta positiva, è vero che nel provvedimento c'è molto fumo e niente arrosto».
E mentre a Palazzo Grazioli va in scena il pranzo del grande gelo (presenti anche Gianni Letta, Sandro Bondi, Giuseppe Pisanu e Lorenzo Cesa), a Todi si discute del futuro del centrodestra. E anche in questo caso con «l'eccezione Udc», unico grande assente dopo il forfait di Cesa. E parte proprio da qui Adornato aprendo i lavori del seminario della fondazione Liberal. «Casini poteva anche venire - spiega - e dirci che del partito unico non gliene frega nulla». Poi rilancia il progetto e assicura che «l'Udc ne è parte essenziale». Con un corollario: «Non siamo giapponesi nelle Filippine, siamo qui per aprire una battaglia politica nella Cdl». Parla Renato Brunetta, che definisce il centrodestra «un'amabile coalizione di masochisti dissipatori». Ce l'ha con Stefania Prestigiacomo e Antonio Martino che hanno «stupidamente» elogiato il decreto Bersani «senza neanche leggerlo». Sul palco salgono anche Angelo Sanza, Maurizio Gasparri («il partito unitario si allontana ma non si cancella»), Adolfo Urso e Alfredo Mantovano. La sintesi la fa il senatore azzurro Gaetano Quagliarello: «L'occasione è stata persa quando siamo dovuti uscire da quella pazzia che è stata una verifica durata due anni.

Abbiamo deciso di farlo approvando una legge elettorale proporzionale che rende più difficile se non impossibile la prospettiva del partito unico».

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