Il caso Il 2015? Teniamocelo stretto

Una bella lettera a Smirne, scusandoci per il disturbo e dimostrandoci pronti a restituire loro l'Expo, non essendo noi capaci di organizzarlo? Naturalmente è una provocazione, ma che merita considerazioni. Il senso della misura, della cosa ragionata per il bene di tutti, non fa parte del nostro mondo. E lo verifichiamo in ogni avvenimento, nelle pieghe della cronaca. La bandiera dell'Expo, citata ogni giorno dalla stampa come argomento principe, sventola per darci la certezza che nel 2015 circoleremo su reti stradali perfette, con sottopassi e gallerie, tangenziali e Pedemontana, metropolitane che vanno ovunque, vie d'acqua, piste ciclabili, un mega centro congressi, panchine gotiche in piazza Duomo, pavimento arabescato in Galleria, grattacieli da far invidia a Shanghai e New York. E tutto questo costruito ad una velocità che nel nostro Paese è sconosciuta, con stanziamenti che si riferiscono fatalmente sempre a preventivi e già sappiamo quali saranno i costi finali. Poi nel 2015 il grande assalto, si parla di 30 milioni di turisti in sei mesi, contro i 5,7 di Saragozza e quelli incalcolabili di Shanghai 2010. Ma allora, cosa dobbiamo fare per tenerci questa Expo?
Innanzitutto costruire, cinquant'anni dopo il grattacielo Pirelli e la Torre Velasca, con misura, ragionamento, rimanendo con i piedi per terra, e non avendo come mira solo i turisti ma soprattutto i cittadini.

E grazie allora a Tremonti, che tira le fila del «baraccone», non per dispetto alla Moratti, ma per mantenere lavori e costi entro limiti credibili, accettabili e seri in una situazione per di più grave come quella di oggi.

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