Il caso di Bari

A Bari gestivano il 90 per cento delle postazioni del 118. Praticamente tutto il pronto soccorso della terza città più grande del Sud Italia dalla fine degli anni ’90 era nelle mani, quasi in regime di monopolio, di una Onlus, organizzazione senza scopo di lucro, che era diventata una potenza nella sanità pugliese. Nome: Oer, operatori emergenza radio. Volontari all’attivo: 326. L’attività consisteva in un servizio di trasporto ambulanza che si estendeva anche ai malati emodializzati. Partendo da un controllo sui bilanci, la guardia di finanza ha iniziato a indagare.
All’inizio lo scopo del lavoro d’inchiesta era una verifica fiscale: le Onlus hanno diritto a una serie di agevolazioni, oltre a un flusso di finanziamenti pubblici, a patto di avere un bilancio senza attivo. In fondo al conto economico di una Onlus deve essere scritta una sola cifra: zero.
Se ci sono incassi, devono essere distribuiti ad altre associazioni di volontariato. Ma puntando le indagini sulla Oer, il comando barese delle Fiamme gialle non si è trovato solo di fronte a un’evasione, ma a un elenco sterminato di fatture false, di stipendi giustificati con rimborsi spese per dipendenti che dovevano essere per legge solo volontari. Truffa, truffa aggravata e riciclaggio i reati ipotizzati a conclusione dell’indagine condotta dal sostituto procuratore della procura di Bari Isabella Ginefra.
I finanzieri hanno ben presto scoperto che il pronto soccorso di Bari era nelle mani di un’azienda, un’impresa che dichiarava e fatturava il falso. Delle caratteristiche della Onlus quell’impresa non aveva più nulla. Risultavano spese fino a 15mila euro presso carrozzieri della città per incidenti alle ambulanze mai avvenuti. Gli atti dell’inchiesta documentano una gestione dei finanziamenti statali e regionali non finalizzata a migliorare il servizio, ma all’arricchimento personale di chi lo amministrava sotto la copertura del volontariato. L’operazione è del 2008, ma il processo è tuttora in corso. I bilanci (sono stati esaminati a partire dal 2001) erano depositati in Comune senza che nessuno si fosse mai accorto che erano contraffatti. Non risultavano profitti, ma in realtà gli incassi non dichiarati, secondo quanto ha accertato l’indagine, negli ultimi anni si erano aggirati «intorno ai 3 milioni di euro».
L’associazione, che aveva la qualifica di «ente morale», avrebbe anche ottenuto 300mila euro di contributi dal ministero del Lavoro in qualità di Onlus. Proprio per questo fiume di finanziamenti pubblici cui l’associazione non aveva diritto, anche la Corte dei Conti ha avviato un’inchiesta per danno all’erario. L’indagine della procura è arrivata alla conclusione che 6 milioni di euro sarebbero spariti dalle casse della Oer per essere «utilizzati per fini personali da alcuni degli indagati». Il servizio di trasporto di emodializzati, ha poi scritto il comando della Gdf di Bari a chiusura dell’inchiesta, «veniva effettuato abusivamente con personale e autoambulanze di altra cooperativa, falsificando le dichiarazioni dei malati che usufruivano del servizio».
Le persone che lavoravano all’Oer non erano più volontari, ma pagati con 700-800 euro al mese, soldi camuffati dietro esorbitanti rimborsi spese per il lavaggio della divisa o per il rifornimento della benzina, ma che ricorrevano ogni mese sempre nello stesso importo. Da qui il sospetto che fossero veri stipendi non registrati.
Ora la Onlus è gestita da un amministratore giudiziario, continua nel lavoro di pronto soccorso anche se l’impostazione del 118 è stata modificata a Bari: più operatori si dividono il trasporto dei malati negli ospedali della città. L’Oer ha una storia trentennale, ma l’inchiesta che ha portato inizialmente ai domiciliari presidente e vicepresidente, Giovanni Emilio e Goffredo Enriquez, e alla denuncia di 17 altre persone, oltre a un elenco lunghissimo di sequestri di mezzi e di conti bancari, riguarda gli ultimi sei anni di gestione.

Secondo il giudice per le indagini preliminari Giuseppe de Benedictis, la situazione del pronto soccorso di Bari ha creato «risultati quanto mai devastanti» per le casse pubbliche, «originati dal mancato controllo sull’effettivo status giuridico delle Onlus». Si sono «truffati lo Stato e gli enti pubblici che erogavano le sovvenzioni», ha scritto ancora il giudice. E a farlo è stata «un’attività commerciale mascherata da Onlus».

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