Milano «È priva di ogni fondamento la notizia riguardante il dossier Boffo». La smentita arriva secca e - in fondo - inevitabile. La questura di Milano nega che sia mai esistito un fascicolo personale sull’ormai ex direttore del quotidiano Avvenire Dino Boffo, dopo che ieri Libero aveva riferito di un carteggio custodito da tempo negli arichivi della Digos e che sarebbe «sparito» in questi giorni di bufera. La divisione investigazioni, dunque, cerca di chiamarsi fuori dalle polemiche scoppiate in seguito alla pubblicazione fatta dal Giornale della nota informativa in cui Boffo veniva indicato come «noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato». Ma - aveva assicurato nei giorni scorsi il gip di Terni Pierluigi Panariello - negli atti del tribunale «non c’è assolutamente alcuna nota che riguardi le sue inclinazioni sessuali». L’ipotesi, quindi, è che quel documento possa essere il frutto di un’attività di intelligence condotta autonomamente dalla Digos di Milano. Uno scenario che imbarazza non poco gli uffici della questura.
Perché le finalità investigative della speciale divisione della polizia riguardano (o dovrebbero riguardare) l’eversione e l’antiterrorismo, e non i comportamenti di privati cittadini, anche se è risaputo che esistono carteggi relativi a personalità in qualche modo «pubbliche» e dunque ritenute di possibile interesse. E tra queste figurano anche i giornalisti e in particolar modo i direttori degli organi di informazione, oggetto di querele e, a volte, minacce anonime. Materiale che diventa parte intergante di quegli incartamenti. Resta, comunque, un giallo.
Perché il dossier, almeno per il momento, non sembra avere padri. Fonti qualificate della procura di Milano, infatti, negano con decisione che esista un fascicolo penale a carico di Boffo, né che sia mai stato affidato alla polizia il mandato di condurre degli accertamenti sull’ex direttore di Avvenire sulla base di un esposto, e nemmeno che dalla Digos - che mantiene comunque una libertà di indagine al di fuori dei compiti di polizia giudiziaria - sia mai stato segnalato ai due dipartimenti che da questa vicenda sarebbero interessati (quello che sui reati a sfondo sessuale e quello che si occpua dei cosiddetti «soggetti deboli») una qualche circostanza che avrebbe indotto i magistrati a iscrivere Dino Boffo nel registro degli indagati. Né, infine, risultano denunce a suo carico giunte nel recente passato sul tavolo dei pm. Ma il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, insiste: ««Non so che cosa vi fosse contenuto, ma l’esistenza di questo fascicolo ci è stata confermata da più fonti».
La toppa, così, sembra peggio del buco. Perché negare che il fascicolo «Boffo Dino» sia mai esistito o sia sparito dagli armadi della questura non fa altro che alimentare dubbi e interrogativi. Più probabile, a questo punto, che quel fascicolo esista come ne esistono molti altri sui giornalisti più in vista e che sia effettivamente «in trattazione», ovvero sia stato richiesto da qualche ufficio per una verifica. Anche se del suo contenuto, almeno per il momento, non è dato sapere.
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