La Cassazione fa il processo parallelo al Cav

POLEMICHE Le motivazioni del proscioglimento gettano ombre sul premier. Ghedini: «È una sentenza non condivisibile»

Milano Per almeno un anno il processo a Silvio Berlusconi per l’affare Mills è ufficialmente congelato, in attesa che la Corte costituzionale si pronunci sulla nuova norma sul «legittimo impedimento» approvata dal Parlamento e invocata dal premier nell’aula del tribunale milanese. Ma ieri si è compiuta ugualmente l’ultima puntata del «processo parallelo» al Cavaliere, quello che secondo i suoi legali aveva come unico obiettivo arrivare a una sorta di condanna in effigie del capo del governo, bastonando l’avvocato inglese David Mills e di rimbalzo anche l’immagine pubblica di Berlusconi.
Sono state rese note le motivazioni della sentenza con cui la Cassazione ha prosciolto per prescrizione Mills, lo scorso 25 febbraio. E si apprende così che la Cassazione non si è discostata granché dal percorso già seguito dai giudici di primo grado e d’appello: Mills era colpevole di corruzione in atti giudiziari, scrivono i giudici della Cassazione. Aggiungono: incassò soldi per avere mentito davanti ai giudici, e mentì per proteggere Silvio Berlusconi, nascondendone il ruolo nel sistema di conti esteri della Fininvest. Una chiamata in causa quasi diretta per il premier.
Comprensibile, quindi, che la Procura generale di Milano festeggi: «La sentenza della Cassazione dà atto delle menzogne dette da Mills» dice il capo dell’ufficio, Laura Bertolè Viale. E ancora più comprensibile che la decisione dei supremi giudici non piaccia per niente a Niccolò Ghedini, legale di fiducia del Cavaliere: «La sentenza depositata quest’oggi non appare affatto condivisibile». La Cassazione, secondo Ghedini, avrebbe liquidato con «argomentazioni assai fragili» i complessi temi procedurali che stavano al centro del processo: primo tra tutti, la violazione al codice che la Procura milanese avrebbe commesso fin dagli esordi della vicenda, quando Mills venne interrogato come testimone, senza assistenza legale, quando era evidente che proprio lui era stato il creatore del «comparto B» dei conti Fininvest, e che quindi avrebbe dovuto essere sentito come indagato, dandogli la possibilità di tacere ed evitandogli di andare a infilarsi in un mare di guai.
Alla fine, come si ricorderà, Mills se la cava con la prescrizione: perché la Cassazione (ed è l’unico punto sul quale dà torto ai giudici milanesi) data la corruzione dell’avvocato all’11 novembre 1999, quando prese materialmente possesso dei 600mila dollari. Quindi il reato è ormai cancellato dallo scorrere del tempo. Ma i giudici lasciano capire chiaramente che se avessero potuto, avrebbero confermato la condanna di Mills (anche se il difensore dell’inglese, Federico Cecconi, rimarca che «si sono limitati a non ritenere evidente la sua innocenza»).

E lasciano supporre che avrebbero condannato probabilmente anche Berlusconi, di cui chiamano in causa anche i due figli maggiori: «Il fulcro della reticenza di David Mills si incentra nel fatto che egli aveva ricondotto solo genericamente a Fininvest, e non alla persona di Silvio Berlusconi, la proprietà delle società offshore, in tal modo favorendolo in quanto imputato in quei procedimenti, posto che si era reso necessario distanziare la persona di Silvio Berlusconi da tali società, al fine di eludere il fisco e la normativa anticoncentrazione, consentendo anche, in tal modo, il mantenimento della proprietà di ingenti profitti illecitamente conseguiti all’estero e la destinazione di una parte degli stessi a Marina e Pier Silvio Berlusconi». Si tratta - ricordano per buona misura - degli stessi fondi che Berlusconi utilizzò nel 1992 per finanziare il Psi di Bettino Craxi.

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