Cassazione, l’ultimo verdetto: Franzoni in carcere per 16 anni

Confermata la condanna di un anno fa della Corte d’assise d’appello: ora la pena è definitiva

da Roma

Il tempo di leggere a Roma la sentenza che conferma la condanna a 16 anni. Il tempo di mettere a Torino una firma per l’esecuzione della sentenza. E i carabinieri, dopo neanche 40 minuti, entrano nella casa dell’Appennino bolognese: per Annamaria Franzoni si aprono le porte del carcere. Sei anni dopo, la giustizia italiana archivia il caso Cogne: i Supremi giudici confermano il verdetto d’appello, tolgono alla signora Lorenzi la libertà e la potestà sui figli, la condannano al pagamento delle spese processuali.
La giornata più lunga si chiude senza colpi di scena. Gli avvocati, Carlo Federico Grosso e Paolo Chicco, ci provano in tutti i modi a far riaprire il caso, a seminare dubbi e a ottenere un nuovo processo d’appello, da celebrare a Torino. Niente. Passa la linea dell’accusa, rappresentata dal sostituto procuratore generale Gianfranco Ciani. Ciani, al termine di una requisitoria lunga poco più di un’ora, chiede «con umana sofferenza ma con giuridica certezza» la conferma della condanna. Lei, Annamaria Franzoni, non può sentire le sue parole perché è rimasta a casa. Ma i suoi difensori sì. Chicco e Grosso, rientrato in scena in extremis dopo aver difeso la donna all’inizio, cercano invano una crepa nei ragionamenti di Ciani: per l’accusa il verdetto della Corte d’assise d’appello di Torino «è logicamente motivato e condivisibile». Tutto torna, anche se il quadro è indiziario: l’arma è «un mestolo o un pentolino», la perizia psichiatrica sta in piedi, il movente va cercato nella testa della Franzoni.
I penalisti ribattono colpo su colpo: contestano la «scientificità» della Bpa, l’analisi delle macchie di sangue importata dagli Usa e utilizzata dal Ris. Gli esperimenti dei carabinieri sono stati compiuti senza rigore, il manichino con cui è stato simulato il delitto è solo un pupazzo. La vita, la vita che se ne va, è tutta un’altra cosa. Le arterie che scoppiano compongono una diversa mappa delle macchie e spiegano quel pigiama insanguinato che se non è la pistola fumante è però l’elemento più forte in mano all’accusa. Parlano a lungo i difensori e attaccano anche la perizia: in pratica si è detto che la Franzoni è sana di mente, ma ha agito da pazza. E allora i conti non tornano. Ma ormai è tardi. I giochi già fatti. Alle 20.50 il presidente Severo Chieffi legge il verdetto e seppellisce le speranze.
Chicco però non si arrende: «Speravamo molto in un esito differente, ma la battaglia non finisce qui: nel corso del procedimento Cogne bis», per calunnia e frode processuale, «sarà possibile intervenire per la ricerca della verità.

È un momento difficile - prosegue l’avvocato - ma voglio ricordare che siamo intervenuti alle battute finali dell’appello e siamo riusciti a riportarlo nei binari della normalità, facendo dimezzare la pena». Per il colonnello Luciano Garofano, invece, «giustizia è fatta. Il verdetto rende merito al lavoro scrupoloso del Ris».

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