La Cassazione: Previti colpevole anche se manca la prova oggettiva

La Corte parla di concorso occulto tra i legali per ottenere il compenso dei Rovelli

Nulla da obbiettare sulla competenza: toccava a Milano e non a Perugia, come suggerito dagli avvocati difensori. Niente da dire sull’attività del gip: è escluso «perentoriamente» che abbia violato le prerogative parlamentari di Cesare Previti, non concedendo il rinvio delle udienze per legittimo impedimento. E niente da segnalare nemmeno a proposito del famigerato fascicolo 9520, oggetto di infinite proteste e supposizioni. Tutto in ordine.
Cinque mesi dopo il verdetto, la Cassazione spiega le ragioni di una sentenza affilata al termine del processo Imi Sir, come testimoniano le condanne definitive a sei anni, ora «dimezzate» dall’indulto, per Previti, per l’avvocato Attilio Pacifico e per il giudice Vittorio Metta. E come si ricava dal dispositivo del capitolo che riguarda il Lodo Mondadori e la guerra di Segrate, a sorpresa, la Suprema corte ha annullato le assoluzioni e ordinato un processo d’appello bis che si terrà nei prossimi mesi a Milano.
Per i giudici, Previti «ebbe un ruolo di intermediario corruttore». E questo dato si ricava dalla «constatazione che lo stesso aveva agito in perfetta sintonia con Pacifico, il suggeritore della sentenza Metta, per rivendicare e ottenere concretamente da Felice Rovelli il compenso miliardario connesso alla definizione della controversia civile».
Insomma, la prova provata della colpevolezza del deputato di Forza Italia non c’è. Ma ai magistrati bastano gli elementi raccolti: ci fu un accordo sottobanco fra i Rovelli e gli avvocati Previti, Pacifico e Giovani Acampora, condannato a tre anni e otto mesi - per pilotare la causa contro l’Imi. Tale attività trova un solo «riscontro oggettivo»: la «disponibilità» nello studio Pacifico «di documentazione dalla quale era stata copiata la sentenza Metta», favorevole ai Rovelli. Dunque, «sebbene per Previti noi sia emerso un dato oggettivo altrettanto specifico, tale circostanza non può portare all’esclusione dell’ipotesi concorsuale che rimane accreditata dall’inscindibile nesso causale fra l’attività occulta e la corresponsione del miliardario compenso pattuito». I 67 miliardi pagati dai Rovelli ai tre avvocati, a fronte di un risarcimento record di 972 miliardi di lire.
Dunque, per gli ermellini la Corte d’appello ha ben fatto. Anzi, è da bacchettare sull’altro fronte perché ha minimizzato gli indizi raccolti contro Previti, Acampora, Pacifico e Metta che torneranno in aula per il Lodo (inchiesta in cui fu coinvolto anche Silvio Berlusconi, prosciolto nel 2001 per prescrizione).
Per i giudici, «manifestamente illogica e contraddittoria è la ricostruzione in ordine alla tempistica del deposito della sentenza sul Lodo Mondadori da parte di Metta, atto che arrivò in cancelleria in tempi tanto ristretti da alimentare» nell’accusa «la convinzione che fosse stata preconfezionata e concordata preventivamente con una delle parti in causa, la Fininvest». Non basta: per i giudici fa acqua pure la spiegazione del «bonifico Fininvest-Previti di 2.732.868 dollari e delle successive movimentazioni finanziarie fra Previti, Acampora e Pacifico». Queste operazioni sono state ricondotte «a rapporti giuridici del tutto estranei alla controversia Mondadori-Cir, dando così credito... alla versione fornita dagli imputati tardivamente, in modo contraddittorio e incoerente, senza il benché minimo supporto documentale».
Tacciono gli avvocati di Previti. Lui sta scontando la pena nella sua casa romana, in attesa del possibile affidamento in prova ai servizi sociali. Il 24 novembre arriverà in Cassazione il processo Sme-Ariosto, chiuso in appello con una condanna a 5 anni del parlamentare azzurro. Nelle prossime settimane poi la posizione di Previti, tuttora deputato, verrà valutata dalla Giunta per le elezioni di Montecitorio.

«Partirà un’istruttoria - spiega il presidente della Giunta Donato Bruno - che potrà durare quattro mesi». Previti verrà ascoltato, quindi si deciderà sull’eventuale decadenza da parlamentare, ricavabile dalla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.

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