Emiliano Farina
La prostituzione può essere esercitata anche senza il contatto fisico. Se qualcuno l'avesse detto una quindicina di anni fa, si sarebbero messi tutti a ridere. Oggi quel qualcuno è la Corte di Cassazione: dopo diverse decisioni simili, con la sentenza numero 15.158, stabilisce che anche le esibizioni sessuali via internet sono veri e propri atti di prostituzione. La Terza sezione penale ha infatti accolto il ricorso del pubblico ministero del Tribunale di Udine che aveva invocato la Suprema Corte per protestare contro l'assoluzione di un 46enne friulano concessa dal Tribunale della libertà. Attraverso webcam e chat di un sito internet, l'uomo e la sua organizzazione davano la possibilità ai propri clienti - ovviamente dietro pagamento - di chiedere alle ragazze dello staff performance sessuali da mille e una notte. Seppur virtuali, gli ermellini di via Cavour hanno sancito che quei sospiri, e non solo, sono alla stregua di un incontro a pagamento in un parcheggio o in una stanza d'albergo. Nella sentenza, la Cassazione infatti chiarisce che «l'elemento del contatto fisico tra il soggetto che si prostituisce e il fruitore della prestazione non è determinante», ma lo è quello «dell'interazione tra operatrice e cliente».
Si tratta di un ampliamento del concetto di vendita del proprio corpo che va a regolamentare un settore, quello del sesso virtuale a pagamento, che fino a oggi proliferava quasi indisturbato.
Il relatore della sentenza, Guido De Maio, specifica infatti che si parla di prostituzione quando «un qualsiasi atto sessuale viene compiuto dietro pagamento di un corrispettivo e risulta finalizzato a soddisfare la libidine di colui che ha chiesto o che è destinato alla prestazione».
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