Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
Il tam tam dell’inchiesta napoletana sulla fantomatica P4 inserita nei gangli vitali dello Stato rilancia una questione politica sollevata da uno dei protagonisti di questa indagine, il deputato Pdl Alfonso Papa: possibile che in vent’anni di amministrazione della cosa pubblica sotto al Vesuvio le inchieste hanno puntato quasi sempre su chi stava all’opposizione, cioè a destra? «Come mai - ha detto Papa ieri al Giornale - non si è fatto nulla rispetto ad attività investigative e a brogliacci di intercettazioni che hanno come protagonisti esponenti di primo piano di ambienti camorristici e alti rappresentanti del centrosinistra»?
A cosa si riferisse il parlamentare non è dato sapere. Però quella frase è riecheggiata nella mente di chi si appresta a scatenare l’inferno su gravissime irregolarità a suo dire commesse all’interno del processo al clan Misso del rione Sanità, conclusosi con una condanna in primo grado per associazione mafiosa a Roberto Conte, ex consigliere regionale di centrosinistra, poi candidatosi - con i mal di pancia del ministro Carfagna - alle ultime regionali con una lista d’appoggio al centrodestra.
Il consigliere Conte è uno dei tanti che è saltato sulla sedia leggendo le dichiarazioni di Papa. Si è sentito tirato in ballo, personalmente, lui che ha scoperto come nel «suo» processo sono scomparse ben 2.200 intercettazioni telefoniche e migliaia di chiacchierate registrate in ambientale (nell’auto e in ufficio). La procura non le ha mai allegate agli atti del processo di primo grado, dove Conte s’è beccato due anni e quattro mesi. Intercettazioni che però, rocambolescamente, il consigliere è riuscito a rintracciare e a produrre in secondo grado con evidente imbarazzo dei giudici della corte d’Assise d’Appello che si sono visti costretti a tirarlo fuori dal processo stralciando la sua posizione a poche ore dalla sentenza. Le migliaia di trascrizioni scomparse, inutile sottolinearlo, erano favorevoli alla difesa.
Chiamato in causa dal pentito Giuseppe Misso, boss della Sanità, già ritenuto «inattendibile» dalla quinta sezione penale della corte di assise di Napoli, Conte è finito indagato a febbraio 2008 e fatto fuori dalla politica. Nel tentativo disperato di rintracciare le intercettazioni sparite, fra le migliaia di carte del processo, Conte si è ritrovato fra le mani un passaggio dell’intercettazione del «cassiere» del clan Misso, tale Gennaro Palmieri, laddove faceva riferimento al sindaco Rosa Russo Iervolino collegata a lui da rapporti politici e non solo. Nella sbobinatura dei carabinieri della telefonata tra Palmieri e una donna, a un certo punto si legge: «Che se lui (Palmieri, ndr) vuole per quel permesso può andare dal sindaco e afferma che al massimo può fare dieci minuti di anticamera. Continua dicendo che lui deve essere per forza ricevuto dal sindaco in quanto lei è stata ricevuta nel corso della campagna elettorale. Precisa poi di averle dato una mano in campagna elettorale e che poi il sindaco si è interessata per fargli avere il finanziamento. Sostiene alla fine che il sindaco ha fatto molto per il Borgo Orefici», borgo dove esercitava il suo potere il clan Misso.
Domanda: sono state fatte indagini su questo punto? Nelle carte del processo non compaiono, eppure nel faldone alcuni riscontri sembrano spuntare qua e là: il primo è su carta intestata alla «Direzione centrale VIII - Sviluppo commerciale, artigianale e turistico» del Comune di Napoli. Alla «Determina numero 1 del 5 aprile 2007» si concede un finanziamento proprio a Gennaro Palmieri, quello dell’intercettazione. Cinquantacinquemila euro diretti a lui, per non dire degli altri 7 milioni e mezzo di euro destinati a più imprenditori del «Borgo Orefici» di cui Palmieri era vicepresidente. È di questo finanziamento che si parlava nella telefonata? Sono stati chiesti chiarimenti alla Iervolino posto che il suo verbale, nel fascicolo, non c’è? Sempre in questo processo, la posizione di Gianni Alinori, ex presidente dell’Ascom, ex consigliere circoscrizionale dei Ds vicino all’area bassoliniana, indagato insieme a Conte e ad altri 31, è stata risolta con un proscioglimento in corso d’opera. Buon per lui. Michelangelo Mazza, nipote del boss Giuseppe Misso (ma a differenza del parente ritenuto attendibile) raccontò che Alinoro era in società con lo zio Misso in numerose attività di ristorazione tra cui ’O core e Napule alla cui inaugurazione partecipò il sindaco Iervolino e numerosi esponenti della sua giunta. Secondo i pentiti, dalla cella il boss Misso volle «partecipare» all’inaugurazione - come riporta un articolo de l’Espresso - inviando una bottiglia di Dom Perignon. Dagli atti del processo si evince che il ristorante ’O core e Napule ricevette dalla Iervolino un contributo di 82mila euro mentre ad Alinori arrivarono altri 200mila euro di contributi per un negozio di abbigliamento che secondo gli inquirenti vedeva come socio occulto Misso, e a detta dei pentiti era «sede di riunioni con boss importanti come quelli del clan Moccia».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.