Roma - Dopo giorni di affondi da parte del Cavaliere, alla fine - piuttosto prevedibile - arriva la reazione di Napolitano, messa nero su bianco in una lettera inviata al «suo» vicepresidente dell’Anm: «Nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, in particolare nelle polemiche sulla giustizia, si sta toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni».
D’altra parte, la chiave di una campagna elettorale che si annuncia come la resa dei conti tra la politica e la magistratura sta tutta in un semplice numero. Quel quasi 40% di milanesi che nei sondaggi riservati arrivati nelle ultime ore sulla scrivania di Berlusconi - decisamente più calibrati di quelli destinati a finire sui media - sceglie di rispondere con un «non so» alla fatidica domanda su chi voterà come sindaco. La Moratti, non è un mistero, non accende l’entusiasmo né dei dirigenti lombardi di Pdl e Lega né dell’elettorato di centrodestra, ma - il premier ce l’ha ben chiaro - il problema va decisamente oltre. Il Cavaliere, infatti, è consapevole del fatto che il suo elettorato è «frastornato» da quello che senza mezzi termini definisce «l’ultimo assalto giudiziario». Una sfilza d’inchieste, che negli ultimi due anni hanno lasciato da parte i cosiddetti reati «tipici» e si sono concentrate su quella che qualche mese fa persino Tremonti arrivò in privato a definire «un’infamia universalmente riconosciuta»: prostituzione minorile. Ecco perché Berlusconi affonda colpi su colpi, convinto che sia arrivato il momento di «rispondere al fuoco». E far diventare le amministrative una sorta di referendum non solo sul governo ma anche sui magistrati. È vero, come obietta qualcuno, che nel ’99 D’Alema fece lo stesso e fu poi costretto a lasciare Palazzo Chigi. Ma non ha torto neanche il deputato del Pdl Stracquadanio quando ricorda che nel 2005 il «si persero malamente proprio le regionali» perché «le avevamo depoliticizzate» e «passavamo le nostre giornate a farci le pugnette con la discontinuità».
Avanti tutta, dunque. O, come si direbbe al tavolo verde, all in. Perché, dice ai suoi il premier, «questo sarà un referendum pro o contro di me». Insomma, «sarà il popolo a decidere se stare con me o con i magistrati». E il fatto che Napolitano abbia deciso di intervenire (« I manifesti di Milano - ha detto ieri - sono un’ignobile provocazione») non passa ovviamente inosservato. Un messaggio, quello del Colle, considerato sì «scontato» ma anche «inopportuno» visto che Napolitano non ha certo avuto lo stesso entusiasmo quando c’era da prendere le distanze da quella parte di magistratura che secondo il premier usa le sue prerogative solo per fare politica. Scontato, dunque, che tutta l’opposizione - dal Pd all’Idv passando per l’Udc - vada a ruota del Colle e ne lodi le parole. Scontato, ancora, che Fini non perda l’occasione per fare asse con Napolitano. Se Napolitano può essersi anche sentito chiamato in causa dai durissimi affondi portati avanti dal premier negli ultimi giorni, infatti, il presidente della Camera invece agisce «in perfetta malafede».
Un malessere, quello verso il Colle, che rimane dunque sottotraccia. Tanto che il vicepresidente dei deputati del Pdl Napoli si affretta a dire che «il monito di Napolitano non può essere letto come unilateralmente indirizzato». Perché «significherebbe togliere forza a un richiamo erga omnes». Al di là delle parole, però, è chiaro che Napoli parla a nuora perché suocera intenda, visto che è evidente a tutti che quello del capo dello Stato è un monito soprattutto al Cavaliere.
L’impressione di Berlusconi, dunque, è che il Colle abbia deciso di scendere in campo in un momento in cui la campagna elettorale sta entrando nel vivo ed è, inevitabilmente, concentrata sulla questione giudiziaria. «Non sono certo io - è il senso dei ragionamenti del premier - ad aver iniziato questa guerra…». Scontato, insomma, che la reazione fosse su quel versante. E inopportuno, secondo Berlusconi, che Napolitano si faccia sentire solo ora. Vergognoso, sempre secondo il premier, che sul Quirinale facciano quadrato tutte le opposizioni e un presidente della Camera ormai «sputtanato».
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