L’odio politico rialza la testa e lo fa nel modo più esplicito possibile. Nella notte tra martedì e mercoledì è comparsa a Busto Arsizio una nuova scritta intimidatoria contro la presidente del Consiglio: “Spara a Giorgia”, accompagnata dalla stella a cinque punte delle Brigate Rosse. Questa volta il messaggio è stato vergato sui muri adiacenti alla sede cittadina del Partito Democratico, nel quartiere di Beata Giuliana.
È il secondo episodio nel giro di appena due giorni. Una scritta identica, stesso slogan e stesso simbolo, era apparsa sui muri della sede della Lega, sempre nella cittadina del Varesotto. Cambia solo il colore dello spray utilizzato: rosso per la prima, nero per la seconda. E per gli inquirenti è probabile che dietro le due azioni ci siano le stesse persone.
Il fatto è stato immediatamente denunciato e le indagini sono state affidate alla Digos, con il supporto del commissariato di Polizia di Stato di Busto Arsizio. Gli investigatori stanno analizzando le immagini delle telecamere di sorveglianza presenti nella zona, nel tentativo di individuare gli autori di quella che ormai si configura come una minaccia politica esplicita, aggravata dal richiamo a un simbolo che evoca gli anni più bui del terrorismo rosso.
Il Partito Democratico locale ha condannato l’episodio, così come erano arrivate parole di solidarietà dopo il primo imbrattamento. Resta però un dato politico evidente: nel clima di delegittimazione costante, di demonizzazione dell’avversario e di slogan violenti che circolano con sempre maggiore disinvoltura, qualcuno passa dalle parole ai muri. E sceglie deliberatamente di evocare le Brigate Rosse, non un simbolo qualsiasi, ma il marchio di chi ha insanguinato il Paese.
Perché quelle scritte non sono vandalismo, e non possono essere ascritte a gesti di protesta sociale. Scrivere “Spara a Giorgia” significa invocare la violenza contro il presidente del Consiglio in carica. Farlo con la stella delle Br significa caricare quel messaggio di un significato ancora più pesante. È un salto di qualità che non può essere minimizzato né archiviato come folklore estremista.
E questo perché negli Anni di piombo la violenza brigatista non fu solo bombe e sequestri, ma anche intimidazione visiva nelle strade e sui muri delle città. Le Brigate Rosse (e altre formazioni affini) usarono spesso spray, graffiti e scritte murali come strumento di comunicazione e di paura. Slogan e simboli usati come segno di minaccia nel cuore urbano. E l'utilizzo dei muri come megafono clandestino era parte di una strategia più ampia: rendere ovunque visibile la presenza del “Partito armato”, far circolare messaggi di sfida e suggerire che nessun luogo fosse sicuro.
E assieme ai graffiti murali, già nei primi anni Settanta le Br utilizzavano slogan e scritte come arma. A partire dal primo atto dei terroristi rossi, il sequestro del dirigente d’azienda Idalgo Macchiarini che fu sequestrato e fotografato con un cartello al collo che recitava: “Mordi e fuggi. Niente resterà impunito. Colpiscine uno per educarne cento. Tutto il potere al popolo armato!”, accompagnato dalla stella a cinque punte, icona dell’organizzazione terroristica.
L’episodio di oggi — “Spara a Giorgia” con la stella delle Br — non è quindi un semplice richiamo visivo, ma riecheggia una pratica storica in cui il muro diventa spazio di intimidazione politica diretta.
È un salto di qualità simbolico e culturale: non basta il messaggio di odio, viene evocata una grammatica del terrorismo di strada, con la stessa efficacia narrativa e propaganda che in passato accompagnò anni di conflitto interno.