Il Cavaliere va in piazza e manda al suo popolo un video-messaggio

«Basta temporeggiare e basta con le soluzioni rabberciate. In questa settimana non abbiamo fatto altro che perdere consensi: il gradimento del governo è sceso di dieci punti, il mio personale di tre. È l’ora di passare ai fatti». Ufficialmente non parla Silvio Berlusconi, ma nelle sue tante conversazioni private e nella riunione fiume a Palazzo Grazioli con i tre coordinatori del Pdl, il sindaco Alemanno e i vertici laziali del partito il Cavaliere non ammette repliche. Tanto che la sua decisione la prende ben prima che l’ufficio elettorale del Tribunale si pronunci (negativamente) sulla riammissione della lista del Pdl nella provincia di Roma. Perché, spiega ai suoi, «la reazione deve essere immediata» così «da invertire al più presto il trend negativo» e spiegare in modo chiaro che «seppure abbiamo fatto qualche errore» il punto sta «nell’acredine di certa magistratura che si attacca a un cavillo o a una firma pur di escluderci dalle elezioni». Una controffensiva che Berlusconi mette nero su bianco in un video messaggio sul sito dei Promotori della libertà. «Hanno cercato di estrometterci dal voto in Lombardia, nella città di Roma e nella sua provincia. È un sopruso violento e inaccettabile - attacca il premier - che in parte abbiamo respinto. A Milano la nostra correttezza è stata pienamente riconosciuta. A Roma abbiamo invece subito una duplice ingiustizia. Con il Tar che ha respinto l’invito del presidente della Repubblica affinché il diritto di voto fosse garantito nei confronti di tutti».
Oggi, invece, l’appuntamento è in via dell’Umiltà per una conferenza stampa in grande stile - presente Renata Polverini - che avrà il sapore di un vero e proprio messaggio al Paese, una chiamata alla pancia dell’elettorato di centrodestra che in questi ultimi quindici giorni ha guardato con progressivo fastidio al pasticcio delle liste elettorali. E poi toccherà a una grande manifestazione nazionale che potrebbe tenersi il 20 marzo a Roma. Un appuntamento già in calendario prima che scoppiasse il caos delle liste elettorali, visto che è da tempo che il premier ha in mente di riunire tutti i candidati governatori del centrodestra per fargli siglare quel Patto per l’Italia che in caso di vittoria li vincolerà al rispetto delle direttive nazionali. Promessa che il Cavaliere aveva immaginato in funzione soprattutto di quel piano-casa che nelle regioni guidate dal centrosinistra ha trovato fino a oggi scarso applicazione ma che ora si allarga in vista di una campagna elettorale che Berlusconi ha intenzione di giocare in prima persona. «O con me o contro di me», sarà il leitmotiv dei prossimi venti giorni. Con l’invito esplicito alla scelta di campo, dalla parte del «governo del fare» o con «la sinistra delle chiacchiere». Quella sinistra, ripeterà alla noia il Cavaliere, che «pur di vincere le elezioni vorrebbe che gli sfidanti non scendessero neanche in campo».
E proprio per recuperare il terreno perduto in queste settimane, Berlusconi è seriamente tentato dal ritornare in mezzo alla gente come prima dell’aggressione di piazza del Duomo. Comizi veri e propri, dunque, e i consueti «mucchioni» in mezzo ai suoi sostenitori. Un’eventualità che sta allarmando non poco la scorta, ovviamente preoccupata per la sicurezza del premier. La prima occasione potrebbe essere a Bari, dove Raffaele Fitto ha espressamente chiesto al Cavaliere una partecipazione ad effetto così da lanciare lo sprint alla rincorsa di Rocco Palese su Nichi Vendola (secondo i sondaggi di Euromedia Research il candidato del centrodestra sarebbe sotto solo di tre punti).
Basta con la strada delle carte bollate e dei ricorsi, dunque. Che ripete il premier «non portano voti» e fanno solo «allontanare il nostro elettorato». Questo, però, non significa che chi ha «combinato pasticci» non debba a tempo debito pagare. I conti - è il ragionamento di Berlusconi che non nasconde fastidio anche nei confronti di chi si è occupato in prima persona di un decreto che alla fine è stato «un inutile boomerang» - si faranno dopo il voto. Ma, spiega ai suoi, non ci sarà l’azzeramento del partito di cui tutti parlano. Anzi, è arrivato il momento di «strutturarlo sul territorio». Via, dunque, ai congressi regionali, provinciali e comunali con l’obiettivo di fare uscire il Popolo della libertà da quella debolezza strutturale che è emersa con il caos delle liste. Anche in vista di uno strappo di Gianfranco Fini che a Palazzo Grazioli danno ormai per scontato dopo la tornata elettorale. Tanto che Berlusconi non nasconde la sua «delusione» rispetto all’atteggiamento del presidente della Camera che «mi ha lasciato da solo» a gestire il caos delle liste.

Ormai - è il ragionamento che Berlusconi ripete in privato a più interlocutori - non c’è persona che non viene a riferirmi delle trame di Fini che non fa altro che cercare di crearmi problemi. «È chiaro - chiosa il premier - che non potrà mai essere il mio delfino».

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