Cazzillo, papello e ciaspola: il dialetto entra nel dizionario

Cazzillo, papello e ciaspola: il dialetto entra nel dizionario

Un nostro vecchio amico, che ci accompagna dal liceo e neppure nell’era informatica si sognerebbe mai di lasciarci, si ripresenta puntuale e aggiornato per sostenerci nei momenti del bisogno. Per la verità sono due, ma noi li abbiamo sempre considerati una persona sola, tant’è vero che diciamo «il Devoto-Oli». Buoni dizionari della lingua italiana ce ne sono parecchi, io personalmente simpatizzo Zingarelli, ma senza offesa per nessuno il Devoto-Oli è la Cassazione. In qualsiasi controversia, l’ultimo grado di giudizio è il suo. Inutile dire che l’edizione 2012 si adegua tranquillamente all’armamentario moderno, con tutte le applicazioni per iPhone, iPad e compagnia cantante. Eppure non è questa la vera novità del glorioso dizionario, che come un Gattopardo continua a cambiare per non cambiare mai. La vera novità è che in mezzo all’inevitabile ondata delle parole wow si assiste anche a una struggente proposta di modernariato.
Eccerto che troviamo nelle loro brave caselle i neologismi d’importazione, come click day, docu-reality, e-book reader, greeen economy. Ovvio che abbiano trovato la canonizzazione lessicale anche gli ultimi vocaboli del made in Italy, come agri-asilo, biopattumiera, bamboccione, furbetto, quartierino, lenzuolata (doveroso omaggio a Scalfari), milleproroghe (doveroso omaggio alla fermezza della nostra politica), terzopolista (doveroso omaggio ai voltagabbana). Tutto questo è normale, fa parte del gioco, da sempre un buon dizionario è la Lampedusa della società: porte sempre aperte al nuovo che arriva. Pure troppo.
Il colpo di vita, davvero, è che la lingua italiana di oggi si riguarda un po’ alle spalle, cercando di non perdere per strada le parole della tradizione. Persino dei suoi dialetti, dei suoi gerghi, dei suoi slang metropolitani. Come dimenticare il giorno in cui salì al soglio dei dizionari il sarchiapone, che solo Walter Chiari fingeva di conoscere, ma che da quel formidabile sketch anni Sessanta è diventato un lemma utilissimo.
Come l’animale immaginario, anche il vocabolo non esiste in natura, ma tutti lo usiamo e tutti sappiamo cosa intenda dire. Oggi il Devoto-Oli dà il benvenuto al papello e alla ciaspola, così lontani dall’e-book e dall’iPad. Entra il cazzillo, quell’arnese imprecisato, di cui non conosciamo il nome reale, ma che ci serve in quel preciso momento. E poi lo scialatiello: come negare un posto alla gloriosa pasta inventata dallo chef amalfitano Enrico Cosentino negli anni ’60…
Nel mondo della fisica nulla si crea e nulla si distrugge. Nella lingua funziona un po’ diversamente: tantissimo si crea, tantissimo si distrugge. Mette sempre un po’ d’ansia questa forsennata corsa dei linguisti a registrare tutto l’universo delle espressioni moderne e futuribili. Che diventino un po’ anche archeologi è un’ottima cosa. C’è un’Italia Nostra della lingua che merita d’essere salvaguardata.

Già che ci siamo, affiderei un compito molto arduo alla prossima edizione: vengo dalla terra del Pota, mi piacerebbe che il nuovo Devoto-Oli affrontasse la missione impossibile di chiarirlo per bene. Sui dizionari già c’è, ma nessuno è ancora riuscito a spiegare davvero come lo usiamo noi, da secoli e secoli.

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