da Roma
«Prodi è testardo. Sono sicuro che domani farà il suo intervento per poi salire al Colle e dimettersi». Nella giornata elettrica di ieri, dopo un discorso traboccante di citazioni, da Nietzsche a Marx, a Montanelli, Gianfranco Fini ha offerto ai giornalisti la sua spietata previsione per le prossime, e a suo avviso ultime, ore di Romano Prodi premier: «È testardo - ripeteva sicuro il leader di An in Transatlantico -. Sono sicuro che Prodi si dimetterà al cento per cento. Non si farà sfiduciare prima dal Senato».
Sferzante e senza pietà è stato anche il suo intervento in aula alla Camera, dove Fini ha parlato dopo Pierferdinando Casini per lUdc e prima di Elio Vito per Forza Italia. Nel rintocco del conto alla rovescia per Prodi, Montecitorio ha visto una ritrovata sintonia di posizioni, una sottintesa affinità, tra gli oratori dei partiti della Casa delle libertà, nonostante in quegli stessi minuti da Milano Umberto Bossi tuonasse come un vulcano in eruzione.
«Credo che ci sia il dovere morale di staccare la spina. Si apra la crisi e torni la parola agli elettori», ha detto Fini a conclusione del suo intervento. «È venuto il momento di restituire al popolo la sua sovranità: di restituire la parola agli elettori», ha scandito Vito, parlando accanto a Silvio Berlusconi. «Credo che Prodi debba dirottare lautista da palazzo Madama al Quirinale. Sarebbe meglio per lui e anche per il Paese», ha suggerito Casini. «Le dimissioni e le elezioni sono lesercizio di un diritto civile», ha sottolineato Bobo Maroni per la Lega. E a suggellare una convergenza, certamente tra Forza Italia e Udc, è stato prima dellaula anche Lorenzo Cesa, il segretario del partito di Via due Macelli: se non si andrà subito alle urne, e se si dovesse formare dunque un «governo di responsabilità nazionale», deve essere «un governo di larghe intese - ha chiarito il segretario centrista - : se non cè Forza Italia noi non siamo disposti a fare la ruota di scorta di nessuno». LUdc non si incolla a una maggioranza morta che vuole risuscitare, ha lanciato il messaggio insomma Cesa tendendo la mano al partito più forte della Cdl.
Il pomeriggio di ieri ha spazzato anche gli ultimi dubbi su ipotizzati (sulla stampa) tradimenti per il possibile voto di fiducia oggi in Senato da parte di pezzi di Udc, di isolati senatori di An e Forza Italia. È sotto gli occhi di tutti, ha anzi graffiato Fini, «che cosa sta accadendo, presidente del consiglio - si è rivolto a Prodi - e mi guardi!», ha esclamato come il professore allalunno: «Con lignobile mercato che ha aperto a palazzo Chigi, nella speranza di acquistare un senatore?».
Applausi dalla quasi metà dellemiciclo. Perché è questa la pratica meno nobile dei giorni di basso impero, la ricerca di un voto, un appiglio per non soccombere, che neanche Casini trascura, estinguendo sospetti di tradimento. A Porta a Porta ha anzi chiarito con parole dure che difficilmente gli si sono sentire pronunciare: «Se domani (oggi, ndr) qualcuno dei senatori del mio partito si dovesse ammalare, non sarà ricandidato».
Il «suk» dei voti a palazzo Madama non contaminerà con le sue tentazioni la Casa delle libertà, dicono i leader: lUdc voterà «no» e «non ci saranno spazi - ha dichiarato anche prima Casini - per equivoci o ambiguità». Lobbiettivo è quello di «lavorare», con «qualsiasi legge elettorale» a «un centro alternativo al Pd», partito che è «il primo responsabile del fallimento politico di questo governo». An «non tradirà», ha garantito al Senato anche il presidente del gruppo di Alleanza nazionale, Altero Matteoli.
«Anche se tra noi ci sono state differenze tattiche, alla base cè sempre stato un substrato di valori condivisi», ha ricordato in aula Vito agli alleati.
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