Roma - «Una legge sulle unioni di fatto è superflua». Mentre si accende ulteriormente il dibattito sui Pacs e il governo discute per varare una normativa che sia digeribile dalle varie anime della maggioranza, si alza ancora una volta la voce dei vescovi. Ieri mattina, a conclusione dei lavori del consiglio permanente della Cei, il segretario Giuseppe Betori ha illustrato nel corso di una conferenza stampa il comunicato finale e ha risposto alle domande dei giornalisti.
Betori ha detto esplicitamente che la legge per il riconoscimento delle coppie di fatto «è superflua»: «È sufficiente il Codice, non occorre creare una nuova istituzione giuridica». Parole che riprendono sinteticamente un concetto più volte espresso dal presidente dei vescovi, il cardinale Camillo Ruini, che la settimana scorsa, aprendo i lavori del consiglio permanente, aveva detto: «La legislazione e la giurisprudenza attuali già assicurano la protezione di non pochi diritti delle persone dei conviventi, e pienamente dei diritti dei figli. Per ulteriori aspetti che potessero aver bisogno di una protezione giuridica esiste anzitutto la strada del diritto comune, assai ampia e adattabile alle diverse situazioni, e a eventuali lacune o difficoltà si potrebbe porre rimedio attraverso modifiche del codice civile, rimanendo comunque nell’ambito dei diritti e dei doveri della persona».
Nel corso della conferenza stampa, Betori ha espresso apprezzamento per le parole dette lunedì dal presidente della Repubblica: «L’appello di Napolitano a trovare una sintesi con la Chiesa ci fa piacere - ha affermato il segretario della Cei - perché non parla né di compromesso né di mediazione, ma di sintesi, e questo significa rispetto dell’identità di ciascuno. La Chiesa non può venir meno ai suoi ideali. Una sintesi non significa rinunciare ai principi di ognuno, ma significa arrivare a un livello più alto e trovare un incontro in cui ciascuno non rinunci ai propri principi».
Nel comunicato finale presentato da Betori, i vescovi, «di fronte alle accuse di indebita ingerenza nell’attività legislativa», anche per ciò che concerne i Pacs, ricordano che la Chiesa «non può rimanere indifferente e silenziosa ma ha il dovere di proclamare la verità sull’uomo e sul suo destino». Per questo la Cei riafferma che «alla famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso non possono essere equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali riconoscimento legale». Inoltre, i vescovi chiedono «ai responsabili della cosa pubblica un maggiore sostegno alla famiglia legittima fondata sul matrimonio, in accordo con il dettato costituzionale, attraverso la rimozione degli ostacoli di ordine pratico, giuridico e fiscale che allontanano i giovani dal matrimonio e dalla generazione di figli».
«Non vi è quindi motivo - scrivono i vescovi nel comunicato, riprendendo le parole del cardinale Ruini - di creare un modello legislativamente precostituito, che inevitabilmente configurerebbe qualcosa di simile a un matrimonio, dove ai diritti non corrisponderebbero uguali doveri: sarebbe questa la strada sicura per rendere più difficile la formazione di famiglie autentiche, con gravissimo danno delle persone, a cominciare dai figli, e della società italiana». Rimane poi «alta la preoccupazione pastorale» dei vescovi «per lo sfondo culturale in cui viene condotto tale dibattito: molti giovani di oggi avvertono una grande difficoltà nel compiere scelte definitive e, soprattutto, sperimentano una crescente perdita di orientamento e una radicale insicurezza circa il futuro, a cui si aggiunge, in riferimento al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, la perdita di ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana».
Betori ha aggiunto che durante la discussione nel consiglio permanente «non si è parlato di un eventuale referendum» da promuovere nel caso di approvazione di una legge sui Pacs: «Se la legge non ci soddisferà, non sappiamo ancora quale sarà l’atteggiamento dei cattolici al riguardo».
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