Caro Granzotto, a proposito della querelle sui festeggiamenti dei 150 anni di Unità dItalia mi capita, ogni volta che mi soffermo sullargomento, di provare un senso di vergogna nel vedere quali puerili, ma nello stesso tempo «pesanti», menzogne noi italiani siamo costretti a subire dalla storiografia ufficiale. Eppure i fatti son quelli e non è possibile smentirli: nel 1860 vi fu una violenta conquista militare da parte del regno savojardo a danno degli Stati della penisola, particolarmente del Sud. Ne conseguì, in quel clima di esaltazione di disvalori civili, un continuo periodo di guerre che con la Prima guerra mondiale arrivò al culmine e partorì il fascismo che ci portò alle conseguenze che tutti conosciamo. Io ritengo che la vera Italia nacque solamente il 2 giugno del 1946, quando liberamente decidemmo quale dovesse essere il nostro assetto statuale. È sotto questa data che dovremmo festeggiare lUnità dItalia, anche se il processo di unire gli Italiani è ancora incompiuto. Mi pare, dunque, legittimo chiedersi perché lo Stato italiano continua a trastullarsi ancora con quel «risorgimento» che non era altro che propaganda savojarda? A meno che i nostri governanti non ritengano ancora gli italiani gente immatura di conoscere «ufficialmente» la verità della nostra storia, oppure pensano che questo è il modo «politicamente corretto» per tenere uniti gli Italiani.
Direttore della rivista «Due Sicilie»
Resto arciconvinto, caro Pagano, che la balorda occasione dun centocinquantenario per celebrare lUnità dItalia non sia stata colta per motivi di civile patriottismo, ma per dar luogo a uno dei tanti «eventi» grazie al quale tirar su qualche opera di regime - che sia uno stadio, un auditorium o un famigerato centro polifunzionale poco importa - e allestire una qualche manifestazione dove mettersi in mostra, petto in fuori e pancia in dentro. Che il clou dei festeggiamenti sia rappresentato dalla realizzazione di un centinaio di progetti edilizi centocinquantaneristi oltre a una serie di tableaux vivants dove intere scolaresche fornite di apposite casacche verdi, bianche e rosse saranno chiamate a rappresentare il tricolore, la dice lunga sullo spirito cementizio e fieristico che animava gli artefici del «grande appuntamento con la storia patria». Tantè che lapposito comitato di storici, intellettuali e rappresentanti della società civile è stato messo lì per atto dovuto, a mo di fiore allocchiello, col compito generico e dunque elusivo del controllo «culturale» - ma mi dica lei! - su tutto un ambaradam del quale ovviamente non è responsabile. E sì che la disposizione ad approfittare dellevento per dare, beninteso con le dovute maniere, una ripassatina alla «vulgata», quella che lei chiama la «propaganda savojarda», era e resta forte negli ambienti storici e culturali. E forse la cosa si sarebbe anche potuta fare se non si fosse messa di traverso la sinistra. La quale, seppur da Gramsci in poi molto critica nei confronti della «vulgata» e mai propensa alla retorica da essa definita pariottarda, per fronteggiare in qualche modo la Lega - eh sì, lincubo dei «sinceri democratici» - sè presa di passione per Garibaldi e per lintero campionario di eroi risorgimentali, difendendo a spada tratta la loro rappresentazione iconica, da figurina Panini, oltre che la visione di unItalia fatta per sentimento e moto unitario e democratico di popolo. Per dire: un quotidiano gauchista come La Stampa di Torino è arrivato a scrivere, in quello che è il suo bignamino risorgimentale per i bravi lettori, che con limpresa dei Mille «il Nord e il Sud dell'Italia erano nuovamente uniti dopo secoli».
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