«Cementir crescerà del 20% senza acquisizioni»

Sarà presentato oggi il piano industriale 2007-2009. Obiettivo: ricavi a 1,2 miliardi

da Milano

Francesco Caltagirone junior, presidente del gruppo Cementir, si presenta oggi alla comunità finanziaria per illustrare un nuovo piano industriale triennale, 2007-2009. È stato necessario rifare il precedente (2006-2008) perché gli obiettivi sono stati raggiunti in un anno soltanto: un miliardo di euro di fatturato e un margine operativo lordo superiore ai 250 milioni, grazie anche alle tre acquisizioni effettuate negli ultimi due anni. In Borsa il titolo, che ieri è cresciuto dell’1,4%, in un anno si è apprezzato del 50%. Che cosa vi ha permesso - chiediamo - di anticipare così vistosamente gli obiettivi?
«L’integrazione delle imprese acquisite è stata più rapida del previsto - risponde Caltagirone - e abbiamo avuto un simultaneo andamento positivo delle aree geografiche in cui siamo presenti, soprattutto Scandinavia e Turchia».
Il nuovo piano che cosa prevede?
«Dai 250 milioni di margine lordo di quest’anno prevediamo di salire a 300 nel 2009, portando il fatturato da un miliardo a 1,2, incrementando la produzione di cemento da 10 milioni di tonnellate a 12».
E sul fronte della posizione finanziaria?
«Abbiamo chiuso il 2006 con 440 milioni di indebitamento, a costi molto efficienti. Prevediamo di investire 150 milioni in tre anni e, nonostante questo, di ridurre l’indebitamento a 100 milioni per il 2009. Il tutto a parità di perimetro».
Dopo aver pagato anche i dividendi...
«Sì, ovviamente. All’assemblea proporremo anzi un aumento della cedola del 20%».
Qual è la vostra capacità di indebitamento?
«Per restare a un livello salutare è meglio non superare più di tre volte il margine lordo. Ma se il debito è finalizzato a un’acquisizione, questa porta ulteriori margini che aumentano i parametri: diciamo insomma che possiamo spendere oltre un miliardo di euro. Oggi il debito è 1,7 volte il mol».
Avete acquisizioni in vista?
«Allo stato, no. Ma siamo attenti alle occasioni che si possono presentare. Il nostro settore è ciclico e in questi anni la tendenza è stata positiva. Meglio entrare in una fase calante, quando i prezzi scendono. Guardiamo con interesse agli Stati Uniti, dove potrebbero celarsi, appunto, delle opportunità».
Negli Stati Uniti siete già presenti.
«Sì, con due joint-venture, e siamo i primi produttori di cemento bianco. Negli Stati Uniti il 90% degli impianti di produzione di cemento sono di proprietà europea».
Ma l’area in cui siete più forti è un’altra.
«In Scandinavia fatturiamo 600 milioni. In Italia siamo il quarto produttore e in Turchia il terzo. La Turchia, detto per inciso, ha abbassato le tasse alle imprese dal 30 al 20%. Abbiamo impianti di proprietà anche in Egitto, in Malesia, in Cina. Sul cemento gravano i costi di trasporto, e quindi va prodotto il più vicino possibile al consumo».
È anche un’industria «energivora».
«L’energia pesa per il 25-30% sui costi di produzione. Negli impianti scandinavi riusciamo a utilizzare per il 20% combustibili alternativi, pneumatici e rifiuti urbani, cosa che in Italia fanno due o tre impianti sui 60 dell’intero sistema. Pensi che in Germania i cementieri hanno un costo energetico positivo, nel senso che sono pagati per bruciare rifiuti. Noi stessi, in Danimarca, recuperando il calore delle emissioni riusciamo a dare il riscaldamento a 4mila famiglie».


Avete in previsione aumenti di capitale?
«No. Il gruppo è sempre cresciuto solo con risorse proprie e senza apporti degli azionisti. In vent’anni il margine operativo lordo è salito del 2.100%. Negli ultimi tre anni è triplicato».

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