IL CEMENTO DEL NO

Non vogliono le case, non vogliono il ponte, non vogliono le strade. Temono la «cementificazione», come dice il leader del Pd Franceschini, sguardo da iena dentro occhi da boyscout, che adesso ha scoperto il nuovo look del maglioncino. La cementificazione? Ma quale cementificazione? Da anni l’unico cemento che soffoca questo Paese è quello dei no: no alla Tav, no alle discariche, no alle centrali, no ai rigassificatori. No ai cantieri. No alle riforme. No al cambiamento. La cementificazione che fa davvero paura è quella delle idee, sono gli encefali a presa lenta, le meningi asfaltate. È questo il cemento che ha bloccato l’Italia. È questo il cemento da cui ci dobbiamo salvare.
Avete notato? Il governo non ha fatto in tempo ad annunciare l’esistenza di un piano per la casa e, ancor prima di conoscerlo nei dettagli, è partita la guerra del no. Alte grida. Lamenti. «Una sciagura che impoverisce il Paese», dice l’urbanista di sinistra. «Un delirio», dice l’architetto di sinistra. «Torna la speculazione anni ’60», sbraitano gli ambientalisti. E poi avanti: «deregulation selvaggia» (la deregulation si sa, è sempre selvaggia. O non è); «proposta indecente»; «casa delle libertà abusive»; «affari per i furbetti»; «condono mascherato»; «scempio», «messaggio devastante per il futuro». Naturalmente, per condire l’orrore, si scomodano Francesco Rosi, «Mani sulla città», Alberto Sordi palazzinaro con annessa locandina di film. Manca solo la copertina del manifesto con un grattacielo che spunta dentro il Colosseo, poi il quadro sarebbe completo. E, intanto, benvenuti nella nuova mansarda costruita al posto della Madonnina...
Assurdo? Macché. Le regioni rosse, tanto per dire, hanno già annunciato che non collaboreranno al rilancio dell’edilizia. Lo boicotteranno. E siccome il piano avrà bisogno, per una parte, dell’appoggio delle regioni, significherà che lo bloccheranno. La lezione di Soru in Sardegna, mandato a casa dagli elettori perché, fermando cantieri e turismo, aveva sclerotizzato l’isola e l’aveva condannata alla povertà, evidentemente non è servita. Così è, anche se non vi pare: c’è un’idea per dare lavoro ai disoccupati e slancio all’economia a costo zero. Ma sembra che non importi a nessuno. Perché non si discute nel merito? Perché non si cerca di migliorarla? Perché si cerca di stroncarla? Perché si parte subito lancia in resta parlando di «interessi illegali» e «scena del delitto», come fa il responsabile Ambiente del Pd Ermete Realacci? Siamo d’accordo o no che questo Paese è bloccato da troppi anni di «non fare»? Siamo d’accordo o no che farlo ripartire ora significa anche rispondere alla crisi? E dare lavoro a imprese e operai? Allora perché questa corsa al no per il no, questi toni apocalittici, questa cementificazione del parencefalo? E quanto dobbiamo aspettare perché Franceschini e Realacci si accorgano che queste posizioni assurde e conservatrici ci fanno perdere contatto con il mondo? Vent’anni, come per il nucleare?
Il Paese oggi si sta dividendo in due. Ma la vera divisione non è fra destra e sinistra, popolari o socialisti, laici o cattolici. La vera divisione è fra chi cerca di disegnare il futuro e, dentro la crisi, cerca soluzioni nuove. E chi rimane ancorato a un passato vecchio e indifendibile, e che mai come oggi appare letale. E per dimostrare che quest’ottusità è un cancro devastante che va oltre il limite dell’antiberlusconismo, basta guardare quello che sta succedendo alla Tod's. Il titolare, Diego Della Valle, che è sempre stato coccolato e riverito nei salotti della sinistra, ha deciso per il secondo anno consecutivo di concedere ai dipendenti un bonus di 1400 euro l’anno, 116 euro mensili. Voi capite: in un momento di crisi, mentre tutti pensano a tagliare e magari a mettere in cassa integrazione, c’è un’azienda che non solo non taglia e non mette in cassa integrazione, ma regala 116 euro mensili a ogni dipendente. Risultato? La Cgil protesta. Si oppone. S’indigna. Motivo: «Non siamo stati consultati». Ma vi sembra possibile? Vi sembra possibile che ci sia qualcuno che antepone, così sfacciatamente, l’antica ideologia all’interesse presente degli operai, le stanche liturgie sindacali agli effetti concreti di una buona decisione?
Dalle regioni rosse alla Cgil, da Epifani a Franceschini: quello che si sta rinsaldando è un nuovo e ottuso asse del no. Ma non dovevano essere riformisti? E che cosa si può riformare riducendosi a spuntoni archeologici, a reperti del mesozoico, a distributori di paure e pasdaran del rifiuto assoluto? Per andare verso il futuro l’Italia ha bisogno di fantasia, coraggio, soluzioni innovative. Ha bisogno di liberarsi dei più oscuri retaggi del passato. La gran parte del Paese è pronta. È pronta a lanciarsi. È pronta a trasformarsi.

Che non si faccia sviare da quelli che la vogliono cementificare nell’immobilismo: sono i rappresentanti di un mondo destinato a scomparire. L’unica cosa che riescono a cambiare, in effetti, è il look: si mettono il maglioncino. Ma solo per non far vedere che sono rimasti in mutande.

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