La politica è fatta di simboli e nel dibattito sociale del nostro Paese nessun tema ha una carica simbolica come la legge Biagi. La sua difesa dovrebbe essere un imperativo per gli esponenti moderati di entrambi gli schieramenti. Per questo la contromanifestazione lanciata per il 20 ottobre da Giuliano Cazzola e Maurizio Sacconi è una buona idea che va sostenuta. Ha il segno della concretezza e - visto il clima d'odio che si è seminato - del coraggio.
Questa iniziativa da sola però non basta, il potere è spesso impermeabile ai movimenti d'opinione pubblica, in particolare quando giungono da settori della società che tradizionalmente sono più impegnati a produrre che a urlare in piazza. Il fatto che vi sia in gioco la sopravvivenza del governo corrompe qualsiasi visione obiettiva del problema, tanto che siamo di fronte al paradosso politico di una fazione minoritaria (Rifondazione e soci) impegnata a dettare le regole alla maggioranza. Ecco perché il ministro del lavoro Cesare Damiano da giorni dà segnali di cedimento e assicura che «la Biagi sta cambiando». Il governo è debole nei numeri e nella cultura riformista. Le parole di Franco Giordano, segretario del Prc, sono un chiaro segnale di sfida e consapevolezza della propria rendita di posizione: Rifondazione ha enormi problemi interni, evocando scenari di crisi e ricattando politicamente Prodi, spera di issare la bandiera della vittoria di fronte ai suoi militanti e diluire con la propaganda la contraddizione vivente del partito di lotta e di governo. Probabilmente il partito di Bertinotti riuscirà nel suo piano, perché nel governo cè un deficit di cultura riformista, perché pur di sopravvivere è pronto a cedere su tutta la linea. Spogliare un corpus di buone leggi di due strumenti importanti come il job on call (il lavoro a chiamata) e lo staff leasing (non un contratto precario, ma un regolare e ben tutelato rapporto di lavoro) equivale ad azzerare la riforma più importante del governo Berlusconi e dare fiato alla favola della fine del «precariato». Una danza pericolosa intorno alla memoria di Marco Biagi, profanata continuamente in questi anni da vecchi e nuovi «cattivi maestri». La mistificazione in corso sulla legge Biagi è di portata enorme, il tasso di ideologia e malafede che è stato immesso nel dibattito politico è arrivato alla soglia d'allarme e per questo la reazione delle forze responsabili del Paese non può essere blanda o retorica.
Siamo certi che né Prodi né Damiano pensano che la legge Biagi sia un simbolo di iniquità sociale, la causa principe della precarietà o addirittura delle morti bianche. Entrambi sanno benissimo che il mondo del lavoro è investito da più di un decennio da unimpressionante rivoluzione tecnologica, dalla competizione globale sui mercati della domanda e dellofferta, da un mondo che si è fatto più stretto e più largo nello stesso tempo. Prodi e Damiano sanno che la legge Biagi contiene strumenti utili per creare buona e stabile occupazione, ma siamo altrettanto certi che sono pronti al colpo di spugna in nome della convenienza politica e non dell'interesse generale.
La situazione sembra avere pochi sbocchi alternativi. Confindustria ha firmato laccordo di luglio su pensioni e welfare facendosi guidare da un po di realpolitik e non poca immaginazione. In viale dellAstronomia immaginano uno scenario «a maggioranza variabile» dove i senatori centristi dellUnione non accettano i diktat di Rifondazione e costringono Prodi a portare in aula un buon disegno di legge. A quel punto, potrebbe aprirsi una falla nella maggioranza, favorevole per un voto del centrodestra (lUdc di Casini lha già annunciato, il leghista Roberto Maroni lo dice esplicitamente oggi in unintervista al Giornale) in difesa della riforma più importante del governo Berlusconi. Si tratta di un gioco di strategia politica virtuale sul quale incombono molti ostacoli e una serie di domande: Lamberto Dini e i centristi della Margherita avranno la forza per far valere le proprie ragioni? Rifondazione berrà la cicuta o farà saltare il governo?
In ogni caso, il centrodestra è a un bivio e potrebbe ritrovare proprio sul tema della legge Biagi un tavolo comune che da troppo tempo è sparecchiato e in disordine.
Mario Sechi
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