Il centrodestra frena ma la Lega accelera E il Pd fa retromarcia

RomaIl fischio finale certifica il fiasco dell’antiberlusconismo in versione Novella 2000 e premia la coalizione di maggioranza, soprattutto la Lega. Alle Euroelezioni gli italiani consolidano il Pdl ma non lo lanciano oltre la soglia del 40 per cento come sperato. Il consenso al Popolo della libertà si assesta, in base alle proiezioni notturne, attorno al 35,6 per cento. Una frenata. Il termometro del gradimento, seppur i dati non siano definitivi, fa segnare una sostanziale stabilità: 37,4 per cento alle politiche di un anno fa; 32,4 per cento alle Europee del 2004. Chi galoppa invece è il Carroccio che accarezza il risultato a due cifre (proiezioni attorno al 9,2 per cento), passando dal 5 per cento del 2004 all’8,3 per cento delle ultime Politiche. L’altra faccia della stessa medaglia è l’inesorabile flop del Pd. Un partito che a furia di emorragie rischia il decesso per anemia da consenso. Il risultato provvisorio, attorno al 26 per cento, fa rimpiangere i fallimenti di un anno fa (33,2 per cento) e delle ultime Europee (31,1 per cento). Cresce sensibilmente ma senza sfondare Di Pietro (8,6 per cento) mentre resta magro il bottino dell’Udc di Casini (attorno al 6,5 per cento).
Nel generalizzato astensionismo, tanto che su scala europea s’è raggiunto il minimo storico del 43,02 per cento, in Italia quello che è sembrato l’ennesimo referendum pro o contro Cavaliere ha avuto un esito: la luna di miele tra la maggioranza che sostiene l’esecutivo Berlusconi e il Paese continua. La valanga di voti è la ricompensa per un anno di lavoro di governo. È una promozione per aver sgomberato Napoli da una montagna di vergogna e rifiuti; per aver messo mano al disastro di Alitalia; per aver preso di petto il cancro della criminalità; per aver cominciato a ricostruire l’endemico strazio della Pubblica amministrazione; per essersi lanciati immediatamente tra le rovine del terremoto in Abruzzo; per aver affrontato subito e meglio di altri la crisi economica più straordinaria del secolo.
È stato complesso far passare un messaggio politico forte, come quello che votando Pdl all’interno del Ppe a Strasburgo, l’Italia sarebbe stata più forte e tutelata, in una campagna elettorale da ballatoio. Ma in cabina elettorale gli italiani hanno soprattutto bocciato la strategia da comare della sinistra. Il Pd, sempre in bilico tra il «tra moglie e marito non mettere il dito» e lo sposalizio del pettegolezzo su squinzie e veline lanciato dalla stampa nostrana ed estera, di fatto perde voti a ogni elezione. Al di là del facile esercizio del gettare melma nel ventilatore per inzaccherare il premier, Franceschini e compagni raccolgono i cocci di un partito che paga lo scotto di un progetto politico nato moribondo. Risse interne, credibilità poco sopra lo zero, progetti politici ridotti al lumicino. La sua leadership resta traballante anche se qualcuno avrebbe scommesso su risultati ancora più smilzi. A livello politico è riuscito a scansare abilmente l’argomento bomba del non sapere neppure in che casa europea andare ma il messaggio che è passato è stato, ancora una volta, il vuoto pneumatico. Forse aveva ragione Nanni Moretti con quell’accusa di qualche anno fa da piazza Navona: «Deve passare qualche generazione, con questi dirigenti non vinceremo mai». Poi, è facile vedere nero che più nero non si può è presentare come un successo un infelice 26/27 per cento.
A ragione, invece, sorride la Lega, firmataria di un patto di ferro col Pdl, che sta mettendo in tasca i suoi obiettivi storici, specie in materia di federalismo e immigrazione. Il 9,2 per cento è balsamo puro sull’alleanza, con uno sguardo alle amministrative i cui risultati arriveranno oggi. Esulta pure l’Italia dei valori che si attesta all’8,6 per cento: un voto della parte più girotondin-manettara e giustizialista del Paese.

Di Pietro succhia consensi al Partito democratico: nel 2004 al 2,1 per cento, nel 2008 al 4,4, Tonino si riconferma l’alfiere più radicale dell’antiberlusconismo. Praticamente scomparsi i rimasugli della sinistra radicale, sotto la soglia del 4 per cento e quindi lontani da Strasburgo.

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