Ministro Maurizio Sacconi, il Partito democratico ha stilato una sua finanziaria anti crisi. Le è piaciuto qualcosa?
«Tra l’affabulare e il fare c’è di mezzo il mare».
Si riferisce al fatto che la copertura è basata sulla previsione di crescita già dal prossimo anno e sulla lotta all’evasione?
«Mi riferisco alla copertura, ma anche all’indeterminatezza di molte proposte. Al fumo dei green jobs».
Non è normale che il Pd punti su lavori verdi?
«La logica è quella di sempre della sinistra, tutto si risolve con un incremento della spesa. Come al solito dimenticano non solo il grande vincolo del debito pubblico, ma anche le conseguenze che potrebbe avere un eventuale eccesso di spesa proprio nel dopo crisi. Il rischio è mortificare la capacità di ripresa dell’economia».
Mi lasci indovinare, per colpa delle tasse?
«Certo, siamo di fronte a una strana ripetizione della vecchia sinistra che è da sempre orientata alla spesa pubblica e alle tasse. Nemmeno ora sono in grado di compiere uno sforzo per analizzare le ragioni di questa crisi».
Che sono?
«È soprattutto una crisi di fiducia di carattere globale e non può che essere aggredita in questa stessa dimensione, costruendo regole che diano trasparenza alle attività finanziarie. Poi garantendo il circolo della liquidità e, soprattutto, provvedendo immediatamente alle persone colpite dalla crisi, perché ormai la crisi è arrivata alla società».
I temi del suo dicastero - stato sociale e lavoro - stanno facendo capolino nei summit anti crisi. A cosa arriveranno i grandi della Terra?
«Abbiamo promosso noi il primo summit sociale nell’ambito del G8, che si svolgerà a Roma il 29 e il 30 marzo. Ci saranno i Paesi emergenti e sarà l’occasione per guardare alla dimensione umana della crisi. Il titolo sarà Better welfare, more jobs. Significa che bisogna lavorare a un welfare che sia in grado di provvedere immediatamente ai bisogni elementari delle persone».
Concretamente?
«Un sostegno al reddito per sopravvivere e accedere ai servizi sanitari essenziali; che dia opportunità di apprendimento per migliorare le competenze di chi perde il lavoro. Questo welfare può avere un riflesso utile anche sull’economia perché può sostenere i consumi e creare white jobs».
I lavori legati all’assistenza alle persone? Però suonano un po’ come i «green jobs» di Veltroni...
«No, questi sono molto più utili, immediati e concreti. Non dico che non siano auspicabili anche i lavori verdi, ma in questo periodo bisogna pensare soprattutto ai bisogni vitali che non possono non trovare una risposta».
Hanno ragione la sinistra e la Cgil quando dicono che fino ad ora non avete fatto abbastanza?
«Noi abbiamo sempre lavorato su uno schema preciso, che si basa su tre parole chiave: stabilità della finanza pubblica e del sistema creditizio, liquidità per le imprese e occupabilità per chi rischia di perdere il lavoro. In questo quadro abbiamo, da ultimo, raggiunto un accordo importante con le regioni sugli ammortizzatori sociali, dando per il biennio 2009-2010 una quantità di risorse senza precedenti, da destinare al reddito e alla formazione di chi perde il lavoro. Otto miliardi che, bisogna ricordarlo, si aggiungono alle risorse che possono essere spese per gli altri ammortizzatori sociali ordinari. E che sono destinati anche a chi non ha diritto alla cassa integrazione o all’indennità di mobilità. Penso ai dipendenti della piccole aziende industriali, del terziario o ai lavoratori dei contratti a termine, compresi gli apprendisti e i lavoratori interinali».
Quali altri strumenti possono essere messi in campo per frenare l’emorragia di lavoro dovuta alla crisi?
«Dobbiamo lavorare perché il minore numero di ore lavorate si distribuisca su più persone, in modo da attenuare l’impatto della crisi».
Contratti di solidarietà?
«Si, penso anche alla Cassa integrazione a rotazione, alla settimana corta. Sono misure già a disposizione e che con le risorse messe in campo possono essere garantite anche nel peggiore degli scenari».
Ci sono state reazioni tutte positive all’accordo sugli ammortizzatori. Poi, però, la Cgil ha scioperato e annunciato altri scioperi per convincervi a fare di più. Funzionerà?
«Del tutto prevedibile. Quello che conta è che c’è un grande blocco sociale che dialoga con il governo e con le regioni. E che questo grande blocco sociale è consapevole della grande crisi».
Guardi che lo sciopero Cgil era proprio contro la crisi...
«Non si affronta la crisi scioperando contro le istituzioni o contro gli imprenditori. Anche i lavoratori lo hanno capito, tanto che i dati delle adesioni sono disastrosi, nel pubblico come nel privato».
Poco convinti dallo sciopero contro la crisi o spaventati dalla giornata di paga persa?
«Hanno pesato entrambe le considerazioni. Solo un lavoratore ideologizzato può accettare una motivazione come quelle date dalla Cgil. E per questo non hanno aderito nemmeno tutti i loro iscritti».
Si è detto, che sono scesi in piazza per un richiamo identitario. Per ritrovarsi in un periodo difficile...
«Se così fosse, sarebbe una cosa molto decadente e crepuscolare. Sarebbe meglio spendere certi richiami identitari per crescere e costruire».
Ed è possibile «costruire» senza la Cgil?
«Simmetricamente allo sciopero, il governo ha varato un grande patto all’insegna dei meriti e dei bisogni, quello sugli ammortizzatori. Le parti sociali, tranne la Cgil, hanno varato la riforma della contrattazione. Due cose che da sole valgono molto più delle parole vuote dell’opposizione».
Ma che hanno diviso il sindacato...
«Semmai hanno dimostrato che in questa crisi c’è chi ha una volontà concreta di collaborazione e di concordia sociale».
Epifani e Veltroni pensano a lei quando dicono che il governo ha diviso la Cgil dagli altri...
«È un’affermazione insolente nei confronti delle altre organizzazioni come Cisl, Uil, Ugl, Confsal o quelle dei datori di lavoro. È come dire che sono subordinate al governo, proprio quando hanno fatto un negoziato diretto tra di loro, nel quale il governo non è intervenuto».
Lei ha vissuto, da sottosegretario, anche la fase degli scioperi politici di Sergio Cofferati. Una situazione simile a quella che stiamo attraversando adesso con Guglielmo Epifani?
«Adesso è molto peggiore, perché il contesto è cambiato. Ora c’è una grande crisi che viene da fuori. E non è un caso che le adesioni oggi siano inferiori rispetto a quelle di quegli anni».
Se lo aspettava da Epifani? Lei non è stato lontano dalle posizioni dell’attuale segretario della Cgil...
«Io non personalizzo. Le scelte della Cgil sono state prese da tutto il gruppo dirigente».
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