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Chávez: «Yankee all’inferno» E caccia l’ambasciatore Usa

da Madrid
«Andate affan... cento volte, yankee di m... ». Non si trattiene Hugo Chávez davanti ai suoi fedelissimi dello stato di Carabobo quando annuncia che l'ambasciatore degli Stati Uniti in Venezuela ha 72 ore per lasciare il Paese. Anzi, il presidente festeggia l'apertura ufficiale della crisi diplomatica rincarando la dose di parolacce. «Ho anche ordinato al compagno Bernardo Álvarez che torni da Washington. Poi, quando negli Usa ci sarà un nuovo governo, manderemo un diplomatico. Affan... yankee, ecco dove dovete andare», ha gridato ieri il presidente venezuelano a squarciagola di fronte a una marea rossa in visibilio. Hanno fatto seguito anche minacce di chiudere all’America il rubinetto del petrolio dell’Orinoco.
La reazione degli Stati Uniti allo show non si è fatta attendere e, poche ore dopo, il portavoce del Dipartimento di Stato Sean McCormack ha notificato l'espulsione ad Álvarez. Poi è arrivato anche l'annuncio che il Tesoro statunitense ha congelato i beni di un ex ministro e di due alti ufficiali venezuelani, Ramón Rodríguez Chacín, Hugo Armando Carvajal e Henry de Jesus Rangel, ufficialmente accusati di «aiutare materialmente le Farc».
La crisi tra i due Paesi - già ben definita - rischia quindi di aggravarsi ed estendersi. Chávez ha infatti deciso di espellere l'ambasciatore Patrick Duddy per appoggiare il compañero Evo Morales, che mercoledì aveva dichiarato «persona non grata» l'ambasciatore statunitense nel Paese andino. Nel suo discorso il presidente venezuelano ha accusato gli Usa di orchestrare cospirazioni in tutta l'America latina e ha chiesto agli altri Paesi di prendere esempio ed espellere i diplomatici Usa. A sorpresa, anche la presidenta argentina Cristina Kirchner ha parlato con i suoi omologhi Lula (Brasile) e Bachelet (Cile) e ha lanciato un messaggio di «forte appoggio» al governo Morales. A complicare lo scenario c'è poi la presenza militare russa nella regione, che evoca cupi ricordi di guerra fredda e rende molto più delicato il momento. Due bombardieri russi supersonici Tupolev 160 - gli aerei da guerra più grandi al mondo, capaci di trasportare 24 testate nucleari a due volte la velocità del suono - sono infatti atterrati martedì nella base militare di Libertador su preciso invito di Chávez. Russia e Venezuela hanno annunciato che prima della fine dell'anno terranno operazioni militari congiunte nelle acque caraibiche e atlantiche, per le quali arriveranno nella zona quattro navi militari e vari caccia russi.
Dopo la guerra di Georgia appare chiaro che la Russia stia tornando a mostrare i muscoli, anchilosati dagli anni Novanta. Così il Venezuela di Chávez si è trovato a essere un alleato strategico di Medvedev, felice di poter così vendicare l'appoggio statunitense a Tbilisi. Ma l’opportunità è imperdibile anche per l'uomo che ha fatto degli attacchi verbali contro gli Usa - e Bush - un successo personale. Tra le mille esternazioni infatti, Chávez riuscì a definire Bush come «il demonio» in un intervento all'Onu. Sullo stesso palco era passato il giorno prima il presidente americano e Hugo assicurò che poteva ancora «sentire la puzza di zolfo» del presidente che considera «un tiranno e un bugiardo».
Chávez ha anche accusato gli Usa di essere dietro a un golpe che i servizi venezuelani hanno sgominato in questi giorni tra gli alti gradi dell'esercito, accusati di voler assassinare il presidente. «Se yankee e pitiyankee (i sostenitori venezuelani degli Usa nel gergo di Chávez) faranno quello che hanno fatto in Cile, sarà guerra nella regione».

Parola di Hugo.

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