Chailly apre il MiTo, Gewandhaus sottotono

Il nome dell'Orchestra del Gewandhaus di Lipsia è obbligo pronunciarlo inchinandosi. Oltre duecentocinquanta anni di storia e una corona di direttori stabili (Felix Mendelssohn, Arthur Nikisch, Wilhelm Furtwängler, Bruno Walter, Kurt Masur) attestano la sua unicità. L'attuale «maestro di cappella», il milanese Riccardo Chailly, ha aperto la quarta edizione del Festival MiTo al Teatro alla Scala con un concerto quasi interamente dedicato alla musica di Robert Schumann (1810-56). Res severa est verum gaudium (vera gioia è la serietà), è il motto di Seneca posto dai padri fondatori dell'orchestra lipsiense che possiamo estendere a tutta la Sassonia, regione che ha dato i natali ad un quintetto di Genii: Heinrich Schütz, J.S. Bach, Händel, Schumann e Wagner. Pubblico in sintonia con l'evento (c'erano proprio tutti…), cornice variopinta per il benemerito festeggiamento del secondo centenario della nascita di Schumann, musicista e intellettuale emblema del Romanticismo. Ulteriore interesse destava la Prima sinfonia in si bemolle maggiore, op. 38 (1841), eseguita nella revisione di Gustav Mahler. Sulle capacità di Schumann come orchestratore pesò il giudizio molto negativo di Wagner, divenuto poi indiscusso luogo comune. Mahler osò dissentire, facendo valere il peso della sua autorità di interprete fuoriclasse. Di più. Secondo quanto era prassi del tempo, Mahler mise le mani nella musica di Schumann da grande direttore d'orchestra più che da compositore, operando per rendere ancor più accessibile la genialità del materiale musicale. Autorevoli interpreti di Schumann (anche il mahleriano Bernstein) preferirono le versione originali. Questo nulla toglie all'importanza storica del lavoro compiuto da Mahler e al merito del maestro Chailly di avercelo riproposto. La serata milanese comunque non ha suscitato quell'entusiasmo pieno e febbrile che le cronache narrano salutasse la prima esecuzione diretta, proprio al Gewandhaus, da Mendelssohn. Allora si dava il benvenuto ad un compositore che scendeva nel campo maggiore, quello appunto della sinfonia, lasciato vuoto dal titano Beethoven e da Schubert. Il leggendario Gewandhaus, purtroppo, non ci è parso in serata di grazia. Un esempio: la quadriglia dei corni non all'altezza della fama e l'invadenza dei tromboni (e della tuba nell'ouverture di Mendelssohn, Calma di mare e felice viaggio), con sensazione di anarchia formale e conseguenze nei relativi equilibri fonici. Per tornare a Schumann: a conclusione della prima parte è stato eseguito il Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, op. 54 (1846), altra opera battezzata al Gewandhaus, dove solista era la signora Schumann, Clara Wieck, musa e consorte del compositore. Alla Scala si è presentato il giovane pianista Kit Armstrong, diciottenne dal corpo adolescenziale. Tecnica cristallina, suono terso ma algido.

Sembrava una silhouette della bottega di Mastro Coppelius, l'inventore di automi uscito dalla fantasia di E.T.A. Hoffmann, scrittore idolatrato da Schumann. Comunque bella serata di musica e con quell'orchestra di sicuro c'è (e ci sarà) sempre di che sentire.

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