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Champagne più «rich» per i cocktail

C he cos'era uno Champagne «rich»? È uno Champagne a cui veniva aggiunto dello zucchero per renderlo più piacevole. Più ricco secondo il concetto che si aveva allora del vino. Una pratica molto amata per tutto l'Ottocento dai Russi, che arrivavano a scucchiaiare lo zucchero direttamente nel calice come fosse una tazzina di caffè.

Tutto questo era letteratura fin quando anni fa nelle isole Åland, tra la Svezia e la Finlandia, un sommozzatore scoprì il relitto di una nave naufragata a metà del XIX secolo. Nel ventre del natante c'erano centinaia di bottiglie di Champagne perfettamente conservate, tra esse 47 della maison Veuve Clicquot. Le analisi di queste ultime evidenziarono che contenevano più di 150 grammi di zucchero per litro (oggi un brut non può superare i 12). L'idea dello chef de cave VC Dominique Demarville è stata quella di creare una linea chiamata Veuve Clicquot «Rich». Un classico e un rosé (quest'ultimo appena nato) che riprendevano quella tradizione, adattandola però ai tempi moderni. Vini con dosaggio di 60 grammi-litro, stucchevoli forse per le nostre abitudini contemporanee se bevuti lisci ma in questo caso pensati per la mixology.

Che cosa vuol dire? È forse una bestemmia? Per i puristi della bollicina nobile forse, ma qui in fondo ci si linka alle tradizioni più antiche del bere frizzante. L'idea è mettere in un bicchiere da cocktail del ghiaccio, un ingrediente a scelta (suggeriti sedano, cetriolo, ananas, scorza di pompelmo e tè) e bere. Preferibilmente in un luogo bello. Preferibilmente in buona compagnia. Ma quelli sono fatti vostri.

Un prodotto da cui i puristi di cui sopra si terranno alla larga, pur guardando con invidia i giovani che stapperanno l'elegante bottiglia argentata per sottoporsi al divertente rituale.

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