Che festa il Capodanno senza fuochi d'artificio

Da Milano a Palermo, da Torino a Bari arriva lo stop ai fuochi d’artificio. Contro smog e sprechi

Che festa il Capodanno  senza fuochi d'artificio

Milano si adegua alle raccomandazioni europee e alle decisioni di grandi, piccoli e medi comuni italiani, da Venezia a Torino, a Napoli, a Pesaro, ad altri e vieta i botti per festeggiare l’avvento del nuovo anno.
Lo scopo del divieto è quello di salvaguardare la salute degli animali domestici che sotto l’impatto dei botti soffrono e impazziscono, talvolta fino a morirne.
C’è anche lo scopo di ridurre lo smog, perché l’esplosione della cordite e di altre polveri provoca un sensibile aumento dell'inquinamento dell'aria. S’è levata anche qualche voce in difesa di una tradizione radicata, ma la verità è che questa tradizione ci costa troppo, sia in termini di smog, sia per i feriti che la scia dei rumori assordanti si lascia dietro.
Si stringe il cuore a leggere ogni due di gennaio di ragazzini che hanno perso le mani o un occhio: non hanno combattuto nessuna guerra, sono caduti sul fronte dell’inciviltà. La loro sorte ricorda quella di tanti ragazzini arabi che perdono la vita quando nel villaggio ad ogni matrimonio gli uomini sparano con mitra e pistole per festeggiare gli sposi. Vogliamo essere così? Vogliamo che la festa sia segnata dal sangue?
No, non lo vogliamo, confidiamo di avere padri di famiglia senza armi automatiche, pistole, o bombe carta, pronti a salvaguardare i propri figli dalle follie del passato. Le forze dell’ordine hanno già lavorato per sequestrare i botti più pericolosi, ma anche quelli ritenuti più innocui hanno le loro ricadute dannose.
Diciamocelo, è una tradizione da abbandonare, dobbiamo diventare più europei, in una società più sicura, anche nei giorni di grande festa collettiva. Il divieto diventa anche un fatto educativo per le giovani generazioni, finora inchiodate a ciò che c’era e che non può più esserci. Alla nostra identità di italiani non servono i botti, aiuta piuttosto una più viva coscienza dei doveri civici. Si può brindare al nuovo anno anche senza avere nelle orecchie il frastuono delle esplosioni, che per quanto provocate con intenti pacifici sono sempre pericolose.
A mezzanotte dell’ultimo dell’anno sarà piacevole affacciarsi sul balcone e sui terrazzi e guardare il cielo senza timore di ricevere in faccia uno shrapnel festivo e bene augurante, non si sa per chi. Ma guardare solo il cielo, per cogliere i segni della prosperità.
Ci abitueremo al silenzio come in passato ci siamo abituati al frastuono, e i nostri piccoli amici domestici non tremeranno terrorizzati, ne rischieranno l’infarto. Il silenzio ci serve perché la congiuntura ci è avversa e dovremmo meditare, anche su quello che i politici, compresi i tecnici dell’ultima ora hanno trascurato.
Silenzio anche per loro, per le manchevolezze di un sistema che per la sua strutturazione non consente di uscire rapidamente dal guado. Silenzio per chi ha scordato gli interessi generali del Paese e vorrebbe compensare con le conferenze-stampa i botti perduti.
Godiamoci il cenone, chi ancora ce l’ha e trascuriamo il resto.
Un’altra considerazione. Perché mai dovremmo enfatizzare il passaggio ad un anno che si annuncia difficile e pesante.
I botti per le accise che già ci martellano, o per le tasse che seguiranno. Il governo in carica non spara razzi gioiosi, né fuochi pirotecnici, ma elabora meditazioni meno fragorose sulle nostre tasche.

Ci sembra giusto che questi progetti non vengano festeggiati come ai tempi di sua Maestà borbonica, che comunque per le tasse aveva la mano leggera. Dava poco, ma prendeva poco e spendeva parecchio in feste e farina, col contrappunto della forca.
Che su tutto scenda il silenzio.

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