Roma - Anche se di amore, nel mondo, ce n’è poco, non cessano i trattati sul sentimento più malversato dai contemporanei. Arriva venerdì nelle sale Manuale d’amore (capitoli successivi), film a episodi del toscano Giovanni Veronesi, che stavolta raduna un cast di bei nomi per cercare il bis del successone riscosso dal primo, quasi omonimo film (tredici milioni di euro nel 2005, per chi voglia farsi allarmare dal box-office, misurando sugli incassi la validità d’una pellicola). Dedicata al povero Francesco Nuti, conterraneo del regista, finito in coma quest’estate e ancora in osservazione, la commedia addensa quattro episodi, collegati dal tema sentimentale. A raccontarli, la voce di un deejay (Claudio Bisio), come va tanto di moda dopo un altro film scaltruccio come questo, prodotto da Aurelio e Luigi De Laurentiis, ovvero Tre metri sopra il cielo. Non a caso, ritorna in entrambi il tenebrosello di casa nostra, quel Riccardo Scamarcio balzato alla ribalta della cronaca per aver posseduto, qui, dove fa il paraplegico, tuttavia voglioso, la sexy Monica Bellucci, ora improbabile fisioterapista.
Avendo detto già tutto sull’incontro ravvicinato tra sé e la star umbro-parigina e su quanto gli sia pesato tenere, sulle ginocchia, la bisteccona d’Oltralpe e possederla nell’arco di cinque ore, seduto in carrozzella, l’attore adesso fa scena quasi muta. Come ammette lui stesso, si sente sopravvalutato e glissa sulle domandacce dei gazzettieri curiosi. «Imbarazzato, ecco. Ero in imbarazzo, sul set, con gli occhi puntati addosso», ha ammesso l’interprete riccioluto, i cui occhi spermatici pare magnetizzino signore e signorine, per tacere dei signori. A tal proposito, Il matrimonio, episodio che cavalca la problematica legata ai Pacs, narra di Fosco (Sergio Rubini, qui nella per lui inedita parte dell’omosessuale) e di Filippo (Antonio Albanese), coppia gay che si reca in Spagna, pur di dichiararsi marito e marito. «Non sapevo nulla del matrimonio gay, mi son dovuto documentare, temendo l’esagerazione», spiega Veronesi, che nella vita vera si accompagna a donne seducenti, spesso attrici. «Per me, c’è una sola direzione, come dico nel film. Ma l’Italia è un Paese lento, bisogna saper aspettare», conclude zapatereggiando l’impegnato cineasta.
Il quale, purtroppo, gira a Lecce, stupenda città barocca, le scene che dovrebbero ambientarsi a Barcellona, metropoli il cui barocco goticheggiante, col Gaudì prevalentemente bizzarro, nulla spartisce con le armoniose architetture leccesi. Ma che importa? A Fabio Volo, per esempio non è toccato forse, nell’episodio La maternità, calarsi nel ruolo del marito d’una aspirante mamma (Barbora Bobulova), arcistufa della fecondazione assistita? Senza ipocrisie, Volo dichiara: «Non sono preparato, sull’amore eterosessuale e le coppie lui-lei mi fanno tristezza. Anzi, son contento d’aver recitato la parte del marito, che cerca di governare la moglie, in preda ai cambi d’umore, perché mi riconvinco delle mie tesi». La Bobulova (prossima al parto) è felice d’essere stata considerata attrice comica. «Veronesi mi ha dato fiducia: è raro che assegnino a un’attrice drammatica ruoli divertenti», commenta l’interprete, non più lacrimosa come quando girava con Ozpetek.
Sincero è pure Carlo Verdone, star del primo Manuale, qui attempato proletario romano, che prende una sbandata per una ragazza molto più giovane di lui e «fa il botto». «Ne conosco tanti di cinquantenni, presi dalle ragazze... E poi mi tocca andarli a trovare all’ospedale!», scherza Verdone, che sta elaborando il progetto d’un film a caratteri.
Nel Manuale terza puntata (si minaccia saranno cinque, in tutto, come gli anni del governo Prodi) verrà affrontato il tema del rapporto tra genitori e figli.
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