Troppi suicidi in carcere. Non siamo un Paese civile

Le carceri sono lo specchio più sincero di uno Stato. Se un cittadino punito dalla legge si toglie la vita una volta ogni tre giorni, significa che non stiamo punendo il reato, stiamo annientando la persona

Troppi suicidi in carcere. Non siamo un Paese civile
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Egregio Direttore Feltri,
ho letto con inquietudine che dall'inizio del 2025 si sono già verificati 59 suicidi nelle carceri italiane. Una media devastante: circa otto al mese, due a settimana, uno ogni tre giorni. Un dato agghiacciante che non può più essere derubricato a tragica fatalità. Ma davvero dobbiamo arrenderci a questo orrore come fosse una conseguenza inevitabile della detenzione? Davvero il nostro Stato, che si definisce civile e democratico, può tollerare un sistema penitenziario dove morire è più facile che essere rieducati?
La Costituzione italiana lo ricordo a chi l'ha dimenticato stabilisce con nettezza che la pena deve avere funzione rieducativa, non distruttiva. Eppure oggi le nostre prigioni sono luoghi in cui la disperazione divora tutto: l'anima, la salute, la dignità, la vita. Così i detenuti muoiono soli, nell'indifferenza, impiccandosi alle lenzuola, come accaduto due volte, in appena 48 ore, nel carcere di Rebibbia. E nessuno si chiede perché. Mi dica, direttore: è ancora possibile chiamarsi Paese civile?

Italo

Caro Italo,
no, non è più possibile. Quando un Paese registra quasi sessanta suicidi in cella in otto mesi, non può più raccontarsi come civile. Può al massimo definirsi ipocrita. Le carceri sono lo specchio più sincero di uno Stato. Se un cittadino punito dalla legge si toglie la vita una volta ogni tre giorni, significa che non stiamo punendo il reato, stiamo annientando la persona. Questa da decenni è la realtà dei penitenziari italiani: celle sovraffollate, servizi igienici indegni, assistenza psicologica ridotta a zero, agenti penitenziari stremati, detenuti ammassati come bestiame e, soprattutto, una mancanza strutturale di rispetto per la persona umana. In questo scenario, il suicidio non è l'eccezione: è l'unica via d'uscita. Lasciami dire che trovo vergognoso l'atteggiamento di chi nega il nesso tra suicidi e sovraffollamento. Lo nega soltanto chi non ha mai messo piede in un carcere. In spazi pensati per 40.000 persone ce ne sono 60.000. In celle di pochi metri quadri si stipano 3, 4, anche 5 individui. C'è chi vive in galera senza nemmeno una finestra, senza aria, senza senso del tempo. Non parliamo di delitti capitali, bensì parliamo anche di gente in attesa di giudizio, magari innocente.

Ecco l'altro scandalo: gli innocenti in carcere, vittime di un sistema giudiziario lento, farraginoso, vendicativo. In cella ci finiscono spesso coloro che non rappresentano alcun pericolo per la società. E invece, là fuori, stupratori, ladri seriali, predatori abituali vengono lasciati liberi in nome di un garantismo a corrente alternata, selettivo, incoerente. Se uno stupra, deve andare in galera il giorno stesso. Se uno ruba, tanto più in modo assiduo, come le note borseggiatrici, idem. Ma chi è semplicemente indagato, per reati non violenti e senza rischio di fuga, deve stare fuori fino a sentenza definitiva. Altrimenti non è giustizia, è accanimento. E per quanto riguarda gli stranieri, vogliamo dirlo con chiarezza? Oltre un terzo della popolazione carceraria è composta da stranieri. Alcune stime dicono anche il 40%. E molti di questi non hanno nemmeno il diritto di stare nel nostro Paese. Allora mi chiedo: cosa stiamo aspettando? Rimpatriamoli, subito. Rimandiamoli nei loro Paesi d'origine a scontare la pena o anche ad andarsene a zonzo, non sono affari nostri, purché ce ne liberiamo. Così si alleggeriscono le carceri, si risparmiano risorse, e si rende possibile un vero trattamento rieducativo per chi resta, così come previsto dalla Costituzione. Non si può più andare avanti in questa maniera. Se ogni tre giorni qualcuno si ammazza all'interno dei nostri istituti di pena, non è una colpa del singolo. È una colpa del sistema. Una colpa strutturale. Ed è una vergogna nazionale.

Non

è buonismo. È umanità. È giustizia vera. Chi commette reati deve pagare, ma non deve morire. Uno Stato che non garantisce neppure la vita ai detenuti è uno Stato fallito. E l'Italia su questo fronte è indietro da sempre.

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