Che tenerezza le astronavi e gli effetti speciali di Flash Gordon

In epoca di Avatar, occhialini 3d, effetti speciali più reali del reale, vedere astronavi, scenografie di cartapesta tipo Natale in casa Cupiello e costumi da festa del santo patrono di qualche sperduto paesino lucano (con tutto il rispetto), beh, diciamolo, fa francamente tenerezza. Eppure Buster Crabbe ai suoi tempi nel ruolo di Flash Gordon spopolò, eccome. Tenendo milioni di americani con il fiato sospeso per 40 puntate di una ventina di minuti trasmesse al cinema. La televisione infatti era agli albori e le fiction ancora di là da venire. Un vera chicca per intenditori, tutti gli episodi sono ora disponibili in Dvd, anche se non facili da trovare.
Flash Gordon di professione «viaggiatore dello spazio», nasce dalla penna di Alex Raymond, papà anche di Jungle Jim, dell’agente segreto X-9 e dell’investigatore con pipa e occhiali, Rip Kirby. La prima striscia appare il 7 gennaio 1934 sulle edizioni domenicali di diversi quotidiani americani. E dopo due anni approda al cinema, riproponendo la «sceneggiatura» delle strisce. Uno sforzo finanziario imponente: 350mila dollari, forse mezzo milione.
Nella prima puntata l’atletico giocatore di football americano, conosce quella che sarà poi la sua eterna fidanzata Dale Arden e con lei si imbarca sul razzo del dottor Hans Zarkov destinazione Mongo, pianeta tiranneggiato dall’usurpatore Ming. Qui rimbalza da un regno all’altro, tra feroci mostri, indigeni di varia foggia e colore, uomini-lucertole, uomini-leone e uomini-falco, fino a uccidere il suo mortale nemico e mettere al suo posto il legittimo pretendente Barin. Protagonista Clarence Linden Crabbe detto «Buster», campione olimpico di nuoto ad Amsterdam nel 1928, incredibilmente assomigliante al protagonista dei fumetti. Una curiosità: la colonna sonora viene scritta da Max Steiner, lo stesso di Via col vento del 1939 e Casablanca nel 1942.
Le diverse puntate vengono proiettate nei cinema per una settimana, in coda al film. Il finale è caratterizzato dal «cliffhanger» ovvero «in sospeso» per «costringere» il pubblico a tornare la settimana successiva. Flash si trova sempre in procinto di essere disintegrato, precipitato da altezze siderali, sprofondato in abissi oceanici, soffocato da gas venefici. Eppure all’inizio della puntata successiva si libera, ribalta la situazione e cattura il suo nemico. Che poi gli sguscia di mano e di nuovo lui si trova in situazioni disperate.
Visto il successo della prima serie, Flash torna nel 1938 con le 15 puntate di Alla conquista di Marte (Flash Gordon’strip to Mars) dove il redivivo Ming si allea con Azura regina del pianeta, ma entrambi muoiono alla fine. E ancora nel 1940 con i 12 episodi di Il conquistatore dell’Universo (Flash Gordon conquers the Universe) dove ancora una volta Ming resuscita e tenta di distruggere la terra. Questa volta il budget sembra essere ridotto all’osso, le astronavi ballonzolano sospese a fili neppure troppo invisibili, le masse ridotte a 20-30 spaesate comparse, le scenografie riciclate da altre pellicole. Per tacer dei costumi: il principe Barin, più grosso che grande, viene fatto circolare con orrendi mutandoni bianchi. Nella terza serie cambiano alcuni interpreti. Rimane solo Crabbe, lo Zarkof di Frank Shannon e soprattutto l’odioso «Ming the merciless» (lo spietato) dalle spalle avvolte nelle vesti esotiche da imperatore cinese, per incarnare l’allora temuto «pericolo giallo», a cui dà volto e ghigno Charles Middleton. Anche se, alto e allampanato, volto spigoloso, smorfie e occhiatacce, ricorda un po’ il nostro Ciccio Ingrassia.
Insieme al bilancio si impoverisce anche la sceneggiatura.

Gordon ricorre sempre ai soliti trucchi: per distrarre la sentinella getta il consueto sasso, per disarmar il nemico guarda da una parte e per farlo parlare, digrigna i denti e gli punta un disintegratore da passeggio. Eppure anche queste due serie, pur con un povero Flash ormai spremuto come un limone, portano discreti incassi. Ma l’entusiasmo è un po’ scemato e non ci sarà una quarta edizione.

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