L’appuntamento è alle 8 di sera. Quaranta minuti di ritardo: «Oh, ti ho aspettato, adesso mi disturbi... Richiama tra mezz’ora?». Non è sgarbato, Checco Zalone. Poi il nome vuol dire questo: Che-Cozzalone. Tamarro, burino, zotico, bifolco. Ci sta, allora. Poi è solo rilassato, perché questa non è una vera intervista. È una telefonata tra compagni di scuola. Quindi lui adesso non è la stella di Zelig, il comico-cantante che fa ridere l’Italia. È Luca, oppure Medici come lo chiamavano i professori quando volevano fare i seri.
Nove e 21. Buonasera star...
«Eh?».
Ho detto buonasera star
«Soret».
Dai Luca, «Zelig» è finito. Fai il modesto? Si può dire che sei stata la stella. L’ha scritto persino Aldo Grasso sul «Corriere della Sera»...
«Oh, quello scrive male di tutti, però di me no. L’ho letto: ha pubblicato il testo della mia canzone su Jovanotti. Mi sa che ci deve pagare i diritti, a me e a Fabrizio Testini che l’ha scritta con me».
Vabbè, sei felice. E adesso che è finito «Zelig» che fai?
«...Zzo ne so».
Seriamente...
«Mi riposo, poi parto con Punto Zelig in giro per l’Italia».
E ti porti Jovanotti?
«No. Lui non sa cantare».
Però sa ascoltare... tu lo prendevi in giro e lui rideva. Com’è nata la sua parodia?
«Sapevo che sarebbe venuto a Zelig e ho voluto rendergli omaggio così: ho preso A te e l’ho ribaltata. Quando siamo tornati dietro le quinte rideva ancora. Mi ha detto: “Sei un grande”. Anzi: “SSSSSei un grande”».
Lui è stato al gioco. E gli altri? Giusy Ferreri, Tiziano Ferro, Carmen Consoli, i Negramaro? Li hai presi in giro tutti. C’è qualcuno che è stato antipatico?
«No. Anche perché io prendo per il culo solo quelli che mi piacciono. Se uno non mi piace, non lo cago proprio».
Come fai a prenderli in giro così anche quando ti sono accanto?
«Con questa faccia... finisci tu la frase. Scusa, abbiamo detto di essere seri: la mia è la caricatura delle loro caratteristiche. Io prendo i loro atteggiamenti e li esaspero fino all’estremo».
Chi è il prossimo obiettivo?
«Caparezza. Ma è difficile. Devo ancora trovare una chiave per ridicolizzarlo. Forse però basta dire che è di Molfetta...».
Poi?
«Poi sogno uno show tutto mio. Con ospiti internazionali».
Prima puntata, chi porteresti?
«Sting. Per imitarlo e poi per chiedergli come fa a fare l’amore per nove ore di seguito. Poi un momento culturale: inviterei Gianni Minà per parlare di Cuba».
Politica?
«No. Cioè sì: lui parlerebbe di politica, io gli direi che non ha capito niente di Cuba. Chissenefrega di Fidel, Cuba sono le femmine».
Perché fai ridere, secondo te?
«Perché quando arrivo sul palco, la gente sa solo che canterò. Non c’è un cliché, ogni volta è un numero diverso. E la gente aspetta solo di vedere che cosa farò. È il mio atteggiamento, l’essere dissacrante. Io “distruggo” i loro miti e questo fa ridere».
Hai mai paura di non far ridere?
«Giusè, ogni volta che vado sul palco. Io passo tutta la vita a pensare come far ridere le persone, è ovvio che pensi con terrore all’idea di non riuscirci».
È mai successo?
«No. La gente appena mi vede, comincia a ridere. Ride sulla fiducia, senza neanche sapere che cosa canterò».
Dove nascono le tue canzoni?
«Ovunque. Ai matrimoni, per esempio. Come la parodia di Giusy Ferreri. Ero ospite alle nozze di un mio amico, appena il dj ha messo il suo brano (Non ti scordar mai di me), la gente è impazzita, ha cominciato a cantare, a cercare di imitare la sua voce. Allora ho detto: “Io a questa la devo distruggere”. E mi sono inventato che ero il protagonista della sua canzone».
Il primo enorme successo è stato «Siamo una squadra fortissimi». Non ti sei stancato di cantarla?
«No. In ogni serata, in ogni tour, la suono, almeno una strofa. La gente la vuole. È come Albachiara per Vasco Rossi. Te lo immagini tu un concerto di Vasco senza Albachiara. Ecco io sono il Vasco dei comici...».
E qual è il tuo brano che ti è piaciuto di più?
«Forse la Taranta di centrodestra. Per come è nata...».
Cioè?
«Ero alla Sagra della Munichedda, in Salento, con altri comici di Zelig. Prima di noi c’era un gruppo di musica tradizionale. La pizzica. Lo sai com’è? È bellissima, la pizzica. Dieci minuti. Poi no. Sempre sta musica e tutti a cantare e ballare perché la pizzica è figa, è di sinistra, è popolare, è chic.
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