«Scusi il disordine - si giustifica il virologo Roberto Burioni aprendo la porta del suo studio - ma per farmi un primo piano un fotografo è salito sulla scrivania e l'ha sfondata quindi ho i libri ovunque». Dalla finestra si vedono i cantieri del nuovo polo chirurgico del San Raffaele di Milano, appena cominciati.
Clima di rinascita?
«Davvero. E pensare che un po' di anni fa avevamo paura di arrivare e trovare tutto chiuso. Fu un periodo molto pesante. Però si è stabilito un rapporto molto forte tra noi docenti. Volendo ognuno di noi poteva andare via, in realtà nessuno ci ha mai pensato. Ora il San Raffaele è diventato più produttivo e l'università è cresciuta».
Avete anche aumentato i posti in università. Ma resterete sempre ancorati al numero chiuso?
«È indispensabile. Abbiamo 5mila domande di studenti all'anno, dove li mettiamo? Servirebbe un esame di maturità vero, che dà un punteggio omogeneo in tutto il Paese ma ora non è possibile. Il test è imperfetto ma al momento è la cosa più giusta. Non sempre si può fare quello che si sogna di fare. Io volevo fare il pianista e il conservatorio. Ringraziando il cielo, mio padre, medico, mi prese da una parte e mi disse: sei sicuro di avere il talento? Guarda che lì non basta studiare. Io ci ho pensato e non ne ero affatto sicuro».
Però ha scoperto un altro talento: saper scrivere bene.
«E quel talento pensi che non sapevo di avere. Parto da alcuni presupposti: se qualcuno non capisce la colpa è mia. Se ho davanti un medico devo usare un certo linguaggio, un altro ancora se ho davanti uno studente, un altro se devo spiegare le cose a un paziente. Le persone hanno il diritto di non saper nulla di medicina, come io non so nulla sulle gru del cantiere sotto la mia finestra. Se qualcuno mi deve spiegare come funzionano deve mettersi sul mio livello. Dalla mia ho che quello che io racconto è appassionante, che ci riguarda tutti».
Anche suo padre era virologo?
«Era medico condotto, che allora voleva dire medico di tutto. Ha lavorato fino alla pensione a Fermignano, provincia di Pesaro. Io, che ho studiato a Roma e in America, gira che ti rigira, ho sposato una ragazza di Fermignano, Annalisa. Sono venuto a Milano da scapolo e mi sono fidanzato con lei, che a Milano aveva fatto giurisprudenza alla Cattolica e adorava la città. Risultato: abbiamo una figlia che dice biciclètta e cotolètta. E tifa Inter».
Gravissimo per lei. Vedo che ha la mascotte della Lazio.
«E ne sono grande tifoso. Più perde più la amo. Ho anche dei libri bellissimi sulla mia squadra, guardi: Storie di uomini veri, gli eroi del meno 9». Avevamo avuto meno 9 punti di penalizzazione in serie B».
La forza si trova quando si affrontano le difficoltà.
«Ed è stato così anche per la mia carriera. Ad un certo punto, tornato dagli Stati Uniti, un grosso ospedale in Italia mi rifiutò. E io non sapendo che fare, sono tornato in America, che è stata la mia fortuna perché ho scoperto come produrre dei farmaci alternativi ai vaccini».
Bel conflitto di interessi.
«Che beffa eh? Il mio lavoro è mettere a punto farmaci che entrano in gioco quando il vaccino non funziona. Il vaccino serve a far produrre anticorpi al nostro organismo ma, quando non c'è o non è efficace, si possono somministrare direttamente gli anticorpi. Di fatto si prende tutto il repertorio di anticorpi di un paziente, si tirano fuori quelli giusti, li si riproducono in laboratorio e glieli si somministrano. Ora stiamo lavorando sull'herpes labiale che in molti casi è solo una malattia fastidiosa, in altri gravissima. Contro l'herpes non c'è un vaccino, noi però abbiamo trovato un anticorpo che potrebbe bloccare il virus. Ovviamente se domani creassero un vaccino contro l'herpes, allora questo farmaco diventerebbe inutile. Quindi un conflitto di interesse ce l'ho: dovrei dire io che i vaccini non funzionano e sono pericolosi, ci guadagnerei».
Come è cominciata la sua crociata pro vaccini?
«Quello che mi ha spinto a mettermi in gioco è stato vedere come delle bugie grossolane mettevano in pericolo i bambini. Ero negli Stati Uniti per lavoro con la famiglia. Un'amica di Bologna mi ha chiesto di entrare in un gruppo di genitori su Facebook spiegando cos'erano i vaccini. E ho scoperto che alcuni di loro volevano spiegare a me cos'erano. Un papà, bravissimo a cucinare, pubblicava le foto delle torte, delle lasagne e delle cose che faceva, bellissime. E mi spiegava i vaccini. Gli ho detto: ma scusi, io non so cucinare e non le vengo a dire quanta besciamella mettere nelle lasagne. Perché lei deve spiegare a me il mio mestiere?».
Quindi il suo rapporto con Facebook fu polemico fin dall'inizio?
«Prima ci andavo solo per vedere come erano invecchiate le mie ex. Con quel gruppo di genitori capii che c'era bisogno di un'informazione che fosse chiara, corretta ma anche convincente. Non basta dire le cose giuste se non le legge nessuno non ha senso. Se dico che 10 vaccini non sono troppi non basta. Devo spiegare che 10 vaccini contengono circa 200 antigeni mentre quando una zanzara punge ne trasmette decine di migliaia».
E poi sono arrivate le minacce, social e reali, degli anti vaccinisti. Ha mai avuto paura?
«Eh, non mi hanno fatto piacere. Io non esprimo un'opinione politica, in fondo dico solo che i vaccini non sono pericolosi, come dire che due più due fa quattro, cioè una cosa inconfutabile. Mi è molto spiaciuto quando hanno pubblicato su Internet dove ero in vacanza con la mia famiglia o la fake news di me ucciso dalle Br».
Di quali virus dobbiamo avere paura?
«Di quelli, numerosissimi, portati dalle zanzare, per cui l'unico modo per difendersi è disinfestare. E dobbiamo stare attenti alla poliomielite perché è un virus che non è scomparso. Se in Italia continuiamo a non vaccinare i bambini, potranno contrarla. Dal 2005 le vaccinazioni sono scese. Se ogni anno un 10% di bambini non viene vaccinato vuol dire che ogni anno 50-60mila persone non sono coperte. Piano piano la percentuale di individui che possono essere infettati aumenta».
Il ministro Giulia Grillo invece ha fatto retromarcia sull'obbligo di vaccinazione.
«Lo Stato non può tentennare tra scienza e superstizione. In Italia è già successo con Di Bella e con Stamina, quando il Parlamento ha votato all'unanimità una sperimentazione clinica che non aveva alcuna base scientifica. Non deve accadere più. L'obbligo della Lorenzin, può piacere o no, ma sta funzionando e i dati sul morbillo stanno migliorando. Va potenziato e non confuso. In Italia ci sono 10mila bambini che non possono andare a scuola perché sono immunodepressi e invece hanno diritto ad entrare in classe senza rischiare la vita. E questo diritto per me viene molto prima rispetto ai diritto di alcuni genitori ignoranti ed egoisti di non vaccinare i figli in base a superstizioni».
Eppure i medici vengono sempre più messi in discussione da chi consulta Google.
«O si studia o non si studia. L'autocertificazione non vale. Io ad esempio non posso autocertificarmi professore di virologia, qualcuno ha testato le mie capacità e mi ha dato il titolo».
Sua figlia che dice?
«Caterina Maria ha 7 anni e mi prende in giro. Mi fa le caricature in cui mi disegna travestito da antivaccinista. È anche venuta a qualche mia conferenza e mi ha chiesto se l'ago dei vaccini faceva male. Quando l'ho portata a vaccinarsi le ho raccomandato di non farmi fare brutta figura. Invece si è messa a gridare come un'aquila. Mi sono sotterrato».
Sbaglio o ho letto da qualche parte che anche lei ha paura degli aghi?
«Io? Diciamo che se sono dalla parte dello stantuffo non ho nessun problema, altrimenti si, ho molta paura. Quando devo fare il vaccino anti influenzale, tutti i miei collaboratori vengono nella stanza, uno mi distrae, uno mi fa vento».
Si ricorda quando da piccolo l'hanno vaccinata?
«Io faccio parte della generazione del vaccino antivaiolo. Che allora era un privilegio. Ci mettevamo in fila e nessuno si sognava di andarsene via».
Erano gli anni in cui voleva fare il pianista?
«Sì, non mi ci faccia pensare. Sono tre anni che mi riprometto di studiare e non riesco a farlo. Il mio proposito autunnale è riprendere. Amo il jazz e invece ascolto Rovazzi, perché mia figlia lo adora».
Rovazzi? Potrebbe fare una campagna pro vaccini con lui.
«Mi farebbe molto piacere. Il gesto che ha avuto più impatto sulla sanità pubblica mondiale è stato Elvis Presley che si è fatto vaccinare in diretta tv contro la poliomielite. Le coperture balzarono in alto in maniera incredibile. In passato diverse persone dello spettacolo a cui era stato chiesto un appoggio si sono mostrate titubanti. Sarebbe bello che ora personaggi conosciuti e amati facessero un gesto pro vaccini come ad esempio ha fatto il capitano della nazionale di pallavolo Ivan Zaytsev, che ha vaccinato il figlio e ha messo la foto sui social».
Insomma, si aspetta un gesto pubblico tipo Salvini che va a donare il sangue?
«Quello è un gesto di una generosità encomiabile, mi farebbe ancora più piacere, visto che a Salvini è nato un nipotino, che lo facesse vaccinare e dicesse in pubblico che l'ha fatto».
A proposito di buon esempio. Lei fa sport?
«Devo dire che ho tentato tutto ma con risultati mediocri quando è andata bene. Lo faccio ma mi sforzo. Ci son quelli che dicono: come sto bene dopo un'ora di corsa. No, io sto benissimo senza. Faccio sport alla Oscar Wilde, che diceva: farei di tutto per mantenere l'eterna giovinezza tranne che fare del moto o alzarmi presto la mattina».
Di cosa parlerà nel suo prossimo libro?
«Racconterò di quanto possono essere pericolose le bugie in campo medico. Hanno le gambe corte ma quando trattano la salute corrono abbastanza velocemente da uccidere. Il libro si intitola Balle mortali. C'è chi crede alla bugia secondo la quale l'Aids non è causato dal virus dell'Hiv. C'è chi crede che il tumore si possa curare secondo le legge biologiche di Hamer e molla la chemioterapia. C'è chi non cura un'otite con gli antibiotici e muore come è morta mia nonna nel 1933 lasciando 4 figli. E lei allora gli antibiotici non li aveva. Una volta i farmaci erano un sogno. Ora non è tollerabile far morire un bambino di otite o una ragazzina di 16 anni di diabete».
Purtroppo le balle mortali sulla cure alternative hanno più appeal delle cure ufficiali.
«Giulio Cesare nel De bello gallico, parlando dei Galli, dice anche che perderanno perché credono in quello che desiderano. Ecco, l'uomo crede in quello che desidera. E chi più di un paziente desidera guarire senza una terapia dolorosa, magari solo mangiando limoni? Le terapie mediche anche quando sono molto valide non danno mai la garanzia di guarigione al 100%, i ciarlatani invece sì. Questo è molto grave perché il malato è vulnerabile. E anche la stampa deve stare attenta a quel che pubblica. All'inizio degli anni Settanta, Epoca disse che dieci persone erano guarite grazie al siero di Bonifacio, realizzato con le feci di capra nell'errata convinzione che le capre non si ammalassero di cancro. La gente ci ha creduto».
Renzi le propose di candidarsi. Ci pensò sul serio?
«Ammetto che fui tentato perché sono della generazione che non vede la politica come un rifugio degli incompetenti come viene vista oggi. Ai miei tempi la politica era un dovere civico dei migliori. Nella prima Repubblica c'erano delle belle teste: Berlinguer, Moro, Almirante. Poi ho pensato che sarei stato in grado di fare politica più efficace da fuori. Quando Salvini dice che 10 vaccini sono troppi ed è una scemenza, è più efficace che a farglielo presente sia il professor Burioni e non il senator Burioni».
Si darà mai alla politica?
«Direi di no. Ma siccome mi sono scoperto scrittore a 52 anni e mai l'avrei immaginato prima, vedremo in futuro».
Per ora continuerà la missione di scrittore scientifico. A proposito, cosa legge?
«Mi piacciono Tommaso Landolfi e i grandi classici. Ogni anno rileggo I Promessi sposi».
Per intero? È vero o mi fa scrivere una fake news?
«Verissimo, ogni anno. Mi rilassano perché so già come vanno a finire».
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