Chiavetta e dvd contro la censura iraniana

Come i dissidenti al tempo dell’Unione Sovietica, che facevano uscire dal Paese, direzione Europa, le loro opere microfilmate. Fu così a esempio per Arcipelago Gulag, il capolavoro di Solzenitsyn, giunto clandestinamente oltre la Cortina di ferro. Fu così anche per il grandioso Vita e destino di Vasilij Grossman. Ora due registi iraniani sfidano il regime di Teheran inviando, con i mezzi della moderna tecnologia, i loro film al Festival di Cannes.
Aggira la repressione artistica del regime di Teheran, Jafar Panahi, il regista iraniano Leone d’Oro a Venezia nel 2000, condannato a sei anni di reclusione, il quale ha deciso di inviare segretamente il suo ultimo lungometraggio a Cannes, nonostante il rigido divieto di lavorare che gli è stato imposto dalle autorità della Repubblica islamica. Al suo coraggio, si aggiunge quello di un altro giovane regista iraniano, Mohammad Rasulof, anch’egli condannato a sei anni di reclusione e all’interdizione di realizzare film, che come Panahi ha inviato un suo ultimo lavoro in Francia. I due film sono stati spediti discretamente da Teheran, nascosti in una chiavetta USB e in un dischetto DVD. Il lungometraggio di Panahi, In Film Nist (Questo non è un film), di un’ora e un quarto e realizzato in condizioni semi-clandestine insieme al documentarista Mojtaba Mirtahmasb, è stato scelto per la sezione speciale del Festival e verrà presentato venerdì 20 maggio. Il film racconta la drammatica situazione del regista, ormai da mesi in attesa di un verdetto della corte d’appello. Attraverso la rappresentazione di una giornata della sua vita quotidiana, Panahi - arrestato a Teheran durante le manifestazioni dell’opposizione contro la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, poi interdetto a viaggiare all’estero e a realizzare nuove pellicole per i prossimi vent’anni, solo per aver filmato le proteste - offre uno spaccato dell’attuale situazione del cinema iraniano. Già l’anno scorso, le autorità iraniane avevano vietato al regista di raggiungere la Croisette, dove avrebbe dovuto sedere tra i membri della giuria: memorabile la sedia vuota con il suo nome. «Il fatto di essere vivi e il sogno di mantenere il cinema iraniano intatto ci incoraggia a superare le restrizioni che ci vengono imposte», ha detto Panahi in un messaggio rivolto al Festival il 5 maggio scorso, aggiungendo: «I nostri problemi sono la nostra fortuna». E ancora: «La comprensione di questo promettente paradosso ci incita a non perdere la speranza e a proseguire il nostro cammino. Problemi più o meno seri continuano a esistere in tutto il mondo. Tuttavia, il nostro dovere ci spinge a non cedere e a cercare delle soluzioni».
Parallelamente, per la sezione «Un Certain Regard» è stato selezionato un film di un altro giovane regista iraniano, Mohammad Rasulof, anch’egli condannato e censurato dalla giustizia di Teheran. Be Omid e Didar (Arrivederci), questo il titolo del film, sarà presentato il 13 maggio. Realizzato lo scorso inverno nonostante il divieto del regime, racconta la storia di una giovane avvocatessa di Teheran alla ricerca di un visto per lasciare il Paese. «Il film di Rasulof e le condizioni nelle quali è stato girato, come anche il racconto di Jafar Panahi dei giorni della sua vita d’artista in cui gli è vietato di lavorare, sono, per la loro stessa esistenza, una resistenza alla condanna che li colpisce. Il fatto che li spediscano a Cannes, allo stesso tempo, lo stesso anno, in un momento in cui conoscono lo stesso destino, è un atto di coraggio e al tempo stesso un meraviglioso messaggio artistico», dichiarano in una nota i responsabili del Festival Gilles Jacob e Thierry Fremaux.

I quali aggiungono: «Cannes è l’istituzione internazionale che li protegge e i professionisti del cinema che giungeranno dal mondo intero, riuniti sulla Croisette, si uniranno intorno a loro in una sorta di spontanea comunità fraterna».

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