Roma - «Non ci pronunceremo fino a che non avremo letto il testo», ha dichiarato ieri sera il segretario della Cei Giuseppe Betori. Ma la delusione è palpabile nei palazzi della Conferenza episcopale italiana, nonostante che il testo «partorito» dal governo sia diverso rispetto alla bozza diffusa nei giorni scorsi. «Le unioni di fatto non si ritengono per niente vincolate a un patto sociale - ha detto al Gr il direttore dell’Ufficio Famiglia della Cei, monsignor Sergio Nicolli, prima dell’approvazione del disegno di legge - si ritengono esclusivamente un fatto privato. Su questo la Chiesa non dice niente. Però che questa unione venga riconosciuta come un bene sociale, un bene comune sullo stesso piano della famiglia, questo evidentemente è impossibile».
Delusione esprime anche l’arcivescovo di Cosenza Salvatore Nunnari, che al Giornale spiega: «Bisogna studiare bene il testo. Dalle anticipazioni che ho ascoltato, mi sembra che comunque si tratti di un primo passo verso la realizzazione di matrimoni di serie B, e così viene sentito da quanti avrebbero desiderato introdurre anche nel nostro Paese provvedimenti come quelli della Spagna di Zapatero».
«Il fatto che la dichiarazione all’anagrafe non sia più congiunta ma sia contestuale e distinta per ciascuno dei conviventi rappresenta comunque - spiega l’arcivescovo calabrese - una qualche forma di riconoscimento pubblico, una dichiarazione accolta in un registro comunale: si recepisce insomma pubblicamente l’esistenza della coppia, e anche della coppia formata da due conviventi dello stesso sesso».
Monsignor Nunnari ricorda che molti dei diritti di cui si discute in questi giorni sono già presenti nel nostro ordinamento: «Contrariamente a quanto si crede; i conviventi hanno già i diritti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, se i conviventi vogliono che un immobile appartenga a entrambi, è sufficiente che ne divengano acquirenti insieme; se uno dei conviventi muore, l’altro può subentrargli nel contratto d’affitto, purché entrambi stipulino il contratto».
«Mi sembra comunque che questo riconoscimento pubblico delle convivenze non rappresenti affatto una priorità - aggiunge l’arcivescovo -. La vera priorità è la famiglia e non si può certo dire che nel nostro Paese esistano politiche che la sostengano adeguatamente. L’impressione è quella che si sia voluto iniziare da un aspetto meno rilevante e che poteva comunque essere risolto - come ha spiegato bene più volte lo stesso cardinale Ruini - attraverso modifiche del codice civile nell’ambito dei diritti individuali. Oggi invece sembra che sia diventata una priorità assoluta il riconoscimento delle coppie di fatto e in particolare delle coppie omosessuali.
«C’è da augurarsi che i cattolici impegnati in politica - conclude Nunnari - comprendano qual è la posta in gioco, e agiscano di conseguenza. La Chiesa non intende discriminare nessuno e se ci sono ritocchi o miglioramenti nell’ambito dei diritti individuali per venire incontro a particolari esigenze dei conviventi, quella strada poteva essere seguita. Mi sembra invece che si sia voluto arrivare al riconoscimento pubblico delle convivenze».
Drastico è il vescovo emerito di Como, Alessandro Maggiolini: «Sapevo che prima o poi l’avrebbero approvato, non c’erano dubbi - ha dichiarato -. Mi auguro che nei passaggi parlamentari si possa assistere a una prova di discernimento.
«Si sta logorando, pian piano, nella coscienza collettiva - conclude Maggiolini - il ruolo della famiglia fondata sul matrimonio».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.