Chirac e Prodi si separano davanti alla Siria

Respinta l’idea di una nuova missione militare europea a Gaza

Alessandro M. Caprettini

nostro inviato a Lucca

«Completa identità di vedute» assicura Romano Prodi, prima della tavolata finale a base di risotto con tartufo e tagliata di chianina. Chirac conviene con un largo sorriso e si complimenta con «l'amico Romano» che forse gli pare più malleabile dell'irsuto Berlusconi con cui aveva dovuto fare i conti per cinque lunghi anni. Fatto sta che la felicità di ritrovarsi fianco a fianco non stempera poi di molto le differenze che il Professore tenta di retrocedere nel novero della «diversità di tattiche» a fronte di obiettivi comuni.
Perché Chirac di aperture alla Siria continua a non voler sentir parlare. Perché dell'ipotesi di un intervento europeo nella striscia di Gaza lascia parlare Prodi senza spendersi di più. E perché ancora, sull'idea partorita da D'Alema per una conferenza sull'Afghanistan, rilanciata ieri dal premier italiano, concede una sufficiente benedizione, dando però l'idea che ci vuol ben altro per risolvere il groviglio dei problemi che stanno a monte delle difficoltà che la Nato e l'Onu incontrano a Kabul.
Su una cosa però Italia e Francia concordano, e non è da poco: un convinto e ribadito sostegno al governo di Fuad Siniora in Libano. Ambedue sanno che se cadesse, la terra dei cedri tornerebbe campo di battaglia in una nuova e devastante guerra civile. A quel punto i rischi della missione militare europea, voluta fortemente proprio da Parigi e Roma, diverrebbero elevatissimi. E dunque è fuori discussione l'appoggio al premier di Beirut nei confronti del quale monta di giorno in giorno l'ostilità degli hezbollah foraggiati da Teheran e armati da Damasco.
Ma è proprio nell'atteggiamento da tenere nei confronti del governo di Bashar Assad che tornano a filtrare, prepotenti, le divergenze. Chirac è secco: «La Siria dev'essere messa di fronte alle sue responsabilità» dice in tono ultimativo. Prodi si dilunga in slalom: «Bisogna lavorare per la pace. In questo il dialogo è importante. Gli osservatori che si erano ipotizzati anche sul confine siriano? Be’, quella proposta non è caduta - tiene a precisare, visto che era stato proprio lui a dar per fatta una intesa con Damasco che avrebbe dovuto portare alla spedizione di doganieri italiani sul confine col Libano - ma... non ha ancora trovato una risposta da parte dei siriani. Secondo noi, comunque, aumenterebbe la sicurezza per il Libano, ma certo serve un accordo generale...». Che non dev'esserci, almeno coi francesi se Chirac si limita a far notare che a volte ci sono «valutazioni soggettive» che comunque non devono far deragliare dagli obiettivi comunemente decisi.
Ma anche là dove sembrava che Parigi e Roma (più Madrid) fossero in sintonia, ecco che il summit rinvia ad altri appuntamenti e ad altre intese. Pareva che Lucca potesse essere la sede del lancio dell'ipotesi di una nuova missione militare Ue, stavolta sulla striscia di Gaza, per interrompere gli attacchi missilistici palestinesi sul territorio israeliano e le repliche di Gerusalemme a colpi di tank e jet. E invece nulla. Il progetto è rinviato, come annuncia Chirac, «al prossimo vertice europeo» in modo da convincere almeno inglesi e tedeschi dell'idea. Che poi, come ammesso da Prodi, deve superare un altro paio di forche caudine: l'approvazione delle parti in causa (e il leader israeliano Olmert l'ha già bocciata) e ancora la costituzione di un governo di unità nazionale tra Hamas e Fatah, cosa che nei territori giudicano impossibile. Che Francia e Italia, per dirla ancora con Chirac, tenteranno assieme alla Spagna di dar vita «ad una forte iniziativa» per cercare soluzioni concrete alla madre di tutti i conflitti medio-orientali è ipotesi che in sostanza resta in piedi. Che divenga realtà è invece tutto da verificare, visto che Londra e Berlino paiono assai tiepide sul tema.
Restava ancora - in primo piano - l'ipotesi dalemiana su una conferenza politica sul futuro dell'Afghanistan, visto, come ha notato Prodi, «che una soluzione militare non pare poter avere esito favorevole» e che un aumento delle truppe, come richiesto dalla Nato, «non risolverebbe certo i problemi». Il premier italiano ha tenuto a far sapere che il ministro degli Esteri d'oltralpe, Philippe Douste Blazy, s'è detto d'accordo. Ma tutti hanno notato che Chirac non vi ha fatto cenno, limitandosi a citare Kabul, assieme a Libano e Kosovo, come terreni sui quali i primi partners dei francesi sono proprio gli italiani.
D'accordo Chirac e Prodi invece, a non voler affrettare i tempi sulle decisioni per l'ingresso della Turchia e sui paracadute da lanciare ai Paesi dei Balcani.

Si auspica anche una ripresa di tono sul dibattito costituzionale e una politica sull'immigrazione e sull'energia comuni. Ma sul Medio Oriente, la partita di queste ore, la tattica divide. E spesso proprio la tattica diviene strategia.

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