Chiudete le Camere decidono i giudici

Anno dopo anno, la magistratura nostrana occupa sempre più spazio. Giudici di ogni tipo, in tocco, in toga, in ermellino, si impicciano ormai di tutto. Te li ritrovi dietro l’angolo, tra le coperte del letto, incistati nella cornetta del telefono. Non contenti di spiarci, ci hanno imposto con sentenza che Michele Santoro ci strazi le viscere all’ora di cena. Un giorno (...)
(...) sì e l’altro pure minacciano il governo, fanno il tiro al bersaglio sul premier, annullano il voto degli italiani. Non ci si bada nemmeno più. È routine. Ma non è di questo insopportabile ficcanasare che voglio parlarvi.
La progressiva ingerenza dei giudici ha oggi un obiettivo più mirato: esautorare il Parlamento e l’elettore. È in atto - voluto o inconsapevole - l’imbrigliamento del potere legislativo a vantaggio del giudiziario. Con due protagonisti all’attacco: la Corte costituzionale e la magistratura ordinaria.
Cominciamo dalla Consulta. Già si vocifera che se mai le Camere approvassero il lodo Alfano, la Corte lo boccerebbe. Una misura, quella del lodo, che, vista la rabbiosità delle toghe verso il Cav, servirebbe a metterlo al riparo dai processi durante il mandato, insieme al capo dello Stato. In altri Paesi è la regola. Una prima versione dell’Alfano è stata già respinta dalla Corte perché approvata con legge ordinaria. Ma ora pare che se anche il Parlamento reiterasse la proposta con legge costituzionale (doppia lettura e maggioranza qualificata) la Consulta ribadirebbe il no. Questo perché si andrebbe contro l’articolo 3 della Carta che vuole i cittadini eguali di fronte alla legge. Dunque, anche Napolitano e il Berlusca. Evito di entrare nel merito. Se no, ricorderei che la Costituzione già ammette cittadini più eguali degli altri. Dal capo dello Stato che può essere incriminato solo in casi speciali, ai ministri idem, ai parlamentari che, senza autorizzazione delle Camere, non sono soggetti né a intercettazioni, né all’arresto.
Mi limito a constatare che la Corte sottrae al Parlamento il diritto di creare uno scudo in favore del Berlusca (e Napolitano). Lo fa asserendo che c’è nella Carta una norma - l’art. 3 - più «forte» della norma che costituzionalizza il lodo. Ossia, che la Costituzione dei padri costituenti prevale sulle innovazioni, anche di carattere costituzionale, volute dai parlamenti repubblicani. Un modo di inchiodare il testo alla versione del 1947, sottraendo alle nuove generazioni il diritto di aggiornarla per fronteggiare situazioni che si affacciano.
Questo limite all’innovazione ha l’aria di una forzatura della Consulta. Stando alla lettera c’è infatti un solo divieto di revisione: quello della forma repubblicana contenuta nell’ultimo articolo, il 139. Escluso, in sostanza, è solo il ripristino della monarchia. Tutto il resto dovrebbe essere legittimo. Negli anni però, la Corte ha estratto dal cilindro altri paletti: intangibilità dei «principi supremi», il «principio di ragionevolezza», quello «di armonia» tra i nuovi articoli e quelli consolidati. Così ha ingessato il sistema arrogandosi il potere di ammettere o bocciare ad libitum le innovazioni.
Si sa, più o meno, che non si può deviare dai punti fermi «fondamentali». Sono i primi dodici articoli: «la sovranità appartiene al popolo», «i diritti umani», il «ripudio della guerra», altri. La Consulta però è sempre rimasta astutamente sul generico, lasciandosi mano libera di stoppare anche a capocchia il Parlamento. Tra i «fondamentali» c’è, per esempio, il tricolore, «verde, bianco e rosso a tre bande verticali di eguali dimensioni». E se un giorno gli italiani lo volessero a strisce orizzontali, con lo stemma della Repubblica o la faccia di Giuseppe Verdi, che farebbe la Consulta? Bloccherebbe la ritoccatina accusando le Camere di demenziale frivolezza o darebbe invece via libera ai nuovi gusti? Non si sa, perché il bello (per la Corte) del meccanismo è che i quindici sapientoni - età media sui settanta - sono infinitamente più potenti dei 945 rappresentanti del popolo.
C’è da chiedersi come reagirebbe la Corte se un giorno il Parlamento volesse trasformare l’attuale regime parlamentare in presidenziale alla francese. Il progetto c’è, le incognite pure. Volete che nel combinato disposto delle varie «armonie», «ragionevolezze» e compagnia la Consulta non trovi modo di mettere i bastoni tra le ruote? Eccome se c’è lo spazio. Dipenderà dal clima del momento. Se a proporlo sarà la sinistra, i giudici, a maggioranza di sinistra, ammetteranno l’innovazione. Se sarà la destra, no. In altre occasioni, accadrebbe lo stesso a parti invertite. Allora non sono il diritto e i sacri principi a decidere, ma la convenienza politica. Anche i matusalemme sono infarciti di pregiudizi e interessi. Se fossero neutrali - e non lo sono - avrebbero impedito alle Camere impaurite del 1993 di suicidarsi rinunciando alla piena immunità parlamentare. Unico baluardo contro il macello giudiziario di Mani pulite. Sarebbe bastato dire che il primo articolo della Carta riconosceva «la sovranità del popolo» e che i suoi rappresentanti non potevano perciò spogliarsi dello scudo, consegnando i risultati delle urne agli assatanati alla Di Pietro. Ma sono quisquilie che non interessano la Corte, paga di tenere il fucile puntato sul Parlamento, di condizionarne le scelte e bloccarne le innovazioni.
Assodato che la Consulta, ingessando la Costituzione, ha mortificato il potere legislativo, vediamo adesso come lo beffeggia la magistratura ordinaria nei vari travestimenti: tribunali, pm, gup, gip, cip e ciop.
L’espediente è interpretare le leggi per vanificarle. Se una norma non piace al giudice, la rinvia alla Consulta che la farà a fette. Nelle more, il magistrato si arrangia in casa disapplicandola. Le Camere cercano di arginare i clandestini? Lui invece ragiona così: «Poverino, ignora la lingua. Processo sospeso. Si accomodi», e gli indica la porta. Quello la infila e si dilegua. Quando però devono incastrare i politici che abbiamo eletto sono inflessibili. Per toglierseli dai piedi hanno addirittura creato il «concorso esterno in associazione mafiosa», mostro giuridico mai votato dalle Camere.

Delle leggi vere se ne impipano, quelle fasulle le inventano. Boicottano il Parlamento, deridono gli elettori. Il golpe è in marcia. Delle due, l’una: o si usa la frusta o voglio vedere l’idiota che si sottometterà ancora al rito inutile del voto.

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